Le future missioni che atterreranno sulla Luna, come Starship, potrebbero danneggiare le riserve di ghiaccio presenti sul nostro satellite. Lo afferma uno studio condotto dallo Space Science Institute del Maryland pubblicato su The Planetary Science Journal. In particolare, gli scienziati hanno evidenziato che le polveri e i detriti prodotti dall’atterraggio del razzo potrebbero mescolarsi con la regolite ghiacciata presente nello strato superficiale del suolo.
Secondo studi precedenti, effettuati grazie ai dati raccolti dal Lyman Alpha Mapping Project (Lamp) del Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, il ghiaccio d’acqua potrebbe costituire una percentuale compresa tra l’1 e il 2% del suolo superficiale. Oltre a questo, circa 60 tonnellate di acqua potrebbero trovarsi più in profondità: si tratta di riserve considerevoli che gli astronauti potrebbero raccogliere per trasformarle in acqua potabile.
Nel corso dello studio i ricercatori hanno esaminato i potenziali danni causati dai lander lunari utilizzati dalle missioni Apollo. Dai risultati è emerso che la contaminazione del suolo lunare è stata modesta, probabilmente per via delle ridotte dimensioni dei veicoli.
Mentre la Nasa e SpaceX si preparano al ritorno dell’uomo sulla Luna i ricercatori suggeriscono di servirsi delle missioni già esistenti o di imminente partenza per poter indagare sui possibili rischi da contaminazione. Il lander Nova-C di Intuitive Machines, diventato lo scorso febbraio il primo veicolo privato ad allunare con successo, ha avuto tra i suoi obiettivi quello di effettuare, tramite 4 telecamere Nasa, una visione in 3D di come l’allunaggio altera il suolo lunare.
Nel prossimo futuro, invece, Viper(Volatiles Investigating Polar Exploration Rover), il cui lancio è previsto a fine anno, potrebbe essere l’alleato ideale per determinare le caratteristiche del terreno e individuare le criticità derivanti dall’atterraggio di un veicolo pesante.
Immagine in apertura: lo Shackleton Crater ripreso dalla sonda Nasa Lro. Crediti: Nasa, Korea Aerospace Research Institute, Arizona State University