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La maggior parte dei pianeti del Sistema solare possiede campi magnetici forti abbastanza da intrappolare particelle cariche nella propria magnetosfera, formando regioni note come fasce o cinture di radiazione. La Terra, ad esempio, ne ha due, chiamate fasce di Van Allen dal nome del fisico che per primo ha ottenuto la conferma sperimentale della loro esistenza analizzando i dati di Explorer 1. 
Nel 1986, queste regioni sono state osservate anche su Urano durante un fly-by della sonda Voyager 2 che, dando un’occhiata all’ambiente che lo circonda, ha rivelato l’unicità del pianeta proprio a partire dalla natura fortemente asimmetrica del suo campo magnetico.

Prima di lasciare il gigante “sdraiato” – detto così perché il suo asse di rotazione è inclinato di 98 gradi sul piano della sua orbita – per dirigersi verso Nettuno, Voyager 2 ha scoperto che l’intensità delle sue cinture di radiazione è circa 100 volte più debole del previsto. Ora, un nuovo studio dell’Imperial College London, pubblicato lo scorso giugno su Geophysical Research Letters, suggerisce che questo effetto potrebbe essere collegato proprio al campo magnetico.

In particolare, la ricerca mostra come l’insolita asimmetria magnetica di Urano provochi variazioni nella velocità del movimento di deriva delle particelle attorno al pianeta, deformando la struttura delle cinture soprattutto nella regione attraversata dalla sonda.

Proprio come quella di una comune calamita, la forma più “tradizionale” della maggior parte dei campi magnetici planetari, può essere approssimata da un semplice campo dipolare. Ma quello di Urano è altamente asimmetrico e lo diventa sempre di più man mano che ci si avvicina alla superficie del pianeta.

Per riprodurre l’asimmetria del gigante di ghiaccio, il team ha quindi modellato un campo quadrupolare, ed è proprio tenendo in considerazione questo modello che è apparso un effetto mai osservato prima.
Il risultato, ricavato dalle simulazioni realizzate utilizzando i dati di Voyager 2, è simile a un ingorgo stradale: il traffico è più denso quando le auto viaggiano più lentamente, ma più distribuito se le auto viaggiano a una certa velocità. Allo stesso modo, le particelle cariche accelerano e decelerano mentre passano attraverso regioni con diverse intensità di campo. Un movimento veloce causerà la dispersione delle particelle in alcune aree e uno lento produrrà invece un accumulo in altre.

“Il passaggio di Voyager 2 attraverso una regione in cui le fasce di radiazioni erano più diffuse, spiegherebbe le osservazioni di cinture più deboli del previsto”, spiega Matthew Acevski, corresponding author dello studio. Ma il risultato delle nostre simulazioni indica una variazione massima di circa il 20% dell’intensità dei protoni intorno al pianeta”.

Pur non giustificando del tutto la “debolezza” dell’intensità delle fasce osservata dalla sonda (100 volte inferiore), è possibile che l’effetto osservato dal team possa aver influito, se non addirittura aggravato, sulla causa primaria.

“Per verificare queste simulazioni abbiamo bisogno di una missione spaziale di punta su Urano per ottenere nuove misurazioni in situ del pianeta nel corso di diversi anni, anziché di poche ore come ha fatto Voyager 2″, conclude Acevski. “Una nuova missione potrebbe anche permetterci di scoprire canali di nuova fisica che non potremmo prevedere nemmeno con le simulazioni”.

 

In apertura: immagine di Urano ripresa dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) del telescopio spaziale James Webb della Nasa