Due mesi fa andava in scena la storica impresa di Dart, la sonda Nasa che ha testato con successo la strategia dell’impatto cinetico, ossia lo schianto intenzionale contro l’asteroide Dimorphos con l’obiettivo di modificarne orbita attorno al corpo maggiore Dydimos. Una collisone cosmica a 12 milioni di km dalla Terra testimoniata dal nanosatellite LiciaCube di Asi.

Nonostante Nasa abbia confermato solo due settimane dopo l’impatto un accorciamento di circa 32 minuti del periodo orbitale di Dimosprhos, tuttora non conosciamo la stima precisa di questo cambiamento che potrebbe essere in realtà maggiore o minore di due minuti. Una incertezza che deriva dalla nostra conoscenza limitata della superficie e della composizione di Dimorphos.

Con l’obiettivo di fornire informazioni rilevanti per affinare i risultati di questo primo test di difesa planetaria come per altre future missioni, due scienziati membri del team di Dart, entrambi dell’Istituto di Fisica dell’Università di Berna, sono da tempo impegnati nella creazione di simulazioni numeriche degli impatti contro gli asteroidi. Le dimensioni e la morfologia dei crateri sulla loro superficie può fornire, infatti, una diagnosi diretta delle proprietà materiali e della struttura degli asteroidi in prossimità del luogo d’impatto.

Simulazione dell’impatto Sci. a) – b) – c) Istantanee della simulazione in tempi diversi. A t = 1200s, lo sviluppo del cratere è terminato. d) Cratere Sci sull’asteroide Ryugu. Le caratteristiche principali del cratere osservato, compreso lo spostamento dei massi, sono ricreate nella simulazione. Crediti: Martin Jutzi

Al centro del loro più recente lavoro, pubblicato su Nature Communications, vi è l’impatto cinetico avvenuto durante la missione spaziale Hayabusa2, sonda Jaxa che nel febbraio e luglio 2019 ha raccolto dei campioni dall’asteroide Ryugu tramite l’esperimento small carry-on impactor (Sci). Questo dispositivo è un impattatore cinetico compatto progettato per colpire molto rapidamente l’asteroide e rimuovere localmente dalla superficie la regolite, l’insieme dei sedimenti granulari più esterni.

Primo esperimento del suo genere, lo strumento della sonda Hayabusa2 ha causato un cratere con un diametro stimato di circa 14,5 m2. Un risultato molto distante da quello atteso.

«Il cratere prodotto dall’impatto era molto più grande del previsto. Abbiamo quindi cercato di riprodurre i risultati dell’impatto su Ryugu con l’uso di simulazioni, per accertare il tipo di caratteristiche che il materiale deve avere sulla superficie dell’asteroide» afferma Martin Jutzi, primo autore della ricerca.

Le dimensioni di un cratere d’impatto dipendono, infatti, tanto dalle caratteristiche della sonda proiettile, quindi la sua massa e velocità, quanto da quelle del suo bersaglio: tra queste sono fondamentali la forza e la gravità dell’asteroide, ma anche il suo grado di porosità, quindi quanto sono coesi i massi che lo compongono. Come successo con Dimorphos, questo ultimo parametro è tra quelli più difficili da conoscere.

Anche nel caso di Ryugu, mentre alcune proprietà della superficie asteroidale sono state dedotte dai dati di Hayabusa2, una grande incertezza riguarda la resistenza della superficie. A parità di energia d’impatto, infatti, ci si aspetta che sulle superfici più forti si formino crateri più piccoli di quelle più deboli.

I risultati delle simulazioni suggeriscono che le superfici dei piccoli asteroidi, come Ryugu, Bennu e Dimorphos, debbano essere molto giovani.  Eppure, nonostante l’esperimento Sci abbia causato un cratere molto più ampio di quello atteso, la ricerca mostra come l’ ‘efficienza di craterizzazione’ possa essere fortemente influenzata da una struttura superficiale molto porosa. Secondo le simulazioni, infatti, Ryugu sarebbe caratterizzato dalla presenza di piccole forze di coesione e una struttura interna molto debole.

Durante lo scorso Asteroid Day, la coautrice Sabina Raducan ha spiegato come «contrariamente a quanto si potrebbe immaginare quando si pensa a un asteroide, le prove dirette delle missioni spaziali come la sonda Hayabusa2 dell’agenzia spaziale giapponese dimostrano che un asteroide può avere una struttura interna molto sciolta – simile a un mucchio di macerie – tenuta insieme da interazioni gravitazionali e piccole forze coesive», spiega Sabina.

Questi piccoli asteroidi potrebbero essere, dunque, degli ammassi di ciottoli legati gravitazionalmente; un fattore che, come una recente ricerca ha suggerito per Bennu, potrebbe fornire loro un’armatura superficiale, uno scudo in grado di assorbire gli impatti meno energici e vanificare eventuali operazioni future di difesa planetaria. Problema che oggi, dopo il successo di Dart, appare tuttavia meno preoccupante.

Immagine in evidenza: Illustrazione del primo touchdown di Hayabusa2 su Ryugu con il cratere formato dall’esperimento small carry-on impactor  (Sci) Crediti: Akihiro Ikeshita