Il lato più debole dell’universo violento è stato rivelato attraverso le sue minuscole fluttuazioni di intensità: la più profonda visione mai ottenuta del cielo a raggi gamma, cioè dell’universo caratterizzato dai fotoni di alta e altissima energia, rivela le tenui caratteristiche della cosiddetta emissione “non risolta”, che rappresenta il 20% dell’emissione di raggi gamma totale.
Grazie a una raffinata analisi, che ha impiegato una tecnica di auto-correlazione statistica, dei dati prodotti dal rivelatore LAT (Large Area Telescope) a bordo del satellite della NASA Fermi, cui collaborano per l’Italia l’INFN, l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), è stato possibile mappare globalmente le proprietà di distribuzione dei fotoni in cielo, e stabilire con chiarezza che esistono almeno due differenti classi di sorgenti, ciascuna emergente in regioni di energia diverse. Lo studio è frutto del lavoro di tesi di dottorato di Michela Negro, ricercatrice all’INFN Sezione di Torino e dottoranda del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, ed è stato pubblicato il 3 dicembre, sulla prestigiosa rivista PRL Physical Review Letters a firma della collaborazione Fermi-LAT e dei ricercatori dell’INFN e dell’Università di Torino Simone Ammazzalorso, Marco Regis e Nicolao Fornengo.
L’universo ha una rete di strutture che ha avuto origine da instabilità gravitazionali, a partire dalle minuscole fluttuazioni di densità prodotte durante l’inflazione primordiale subito dopo il Big Bang. Una rete cosmica che è poi evoluta in strutture a scale molto diverse, dalle stelle alle galassie, fino agli ammassi di galassie e ai filamenti contenenti gli oggetti che oggi osserviamo emettere radiazione gamma.
Nell’ultimo decennio, il cielo gamma è stato osservato con una ricchezza di dettaglio senza precedenti dal rivelatore Fermi-LAT: queste osservazioni hanno consentito di identificare la maggior parte dell’emissione gamma prodotta da alcuni dei processi più violenti che si verificano nell’universo, rivelando una diffusa componente luminosa galattica e risolvendo, cioè riconoscendo individualmente, le classi di sorgenti più luminose responsabili di questa emissione.
Tuttavia, la parte più brillante dell’universo violento rappresenta solo la punta dell’iceberg: sorgenti molto più deboli ma allo stesso tempo molto numerose sono nascoste dentro il bagliore diffuso, proveniente da ogni direzione del cielo, prodotto proprio dalla somma delle emissioni di tutte queste sorgenti deboli. L’analisi pubblicata ora su PRL scava più in profondità in questo cielo non risolto, ossia non compreso nel suo dettaglio.
«Poiché le sorgenti all’origine del cielo gamma non risolto sono troppo deboli per essere rivelate individualmente, – spiega Michela Negro – abbiamo impiegato una sofisticata tecnica statistica di auto-correlazione che ci ha consentito di misurare la distribuzione spaziale globale delle fluttuazioni di intensità». «I risultati ottenuti mostrano che queste fluttuazioni sono dovute a un gran numero di oggetti astrofisici puntuali, e forniscono la prima chiara evidenza della presenza di almeno due differenti popolazioni di sorgenti, che emergono a diverse energie, e la nostra analisi è stata anche in grado di determinarne l’energia di transizione, intorno ai 4 GeV», conclude Negro.
È un po’ come guardare in una stanza buia un albero addobbato con le lucine natalizie: se guardiamo distrattamente, vedremo una luce diffusa. Se però guardiamo persistentemente, inizieremo a notare che il filo di lucine a led è più luminoso e di un bianco più intenso, mentre le vecchie lucine che continuiamo a usare da tanti anni hanno una luce un po’ fioca e giallognola. Inoltre, se continuiamo a osservare attentamente, riusciremo anche a intuire qual è la forma dell’albero su cui si trovano.
«Studiando il cielo in qualsiasi lunghezza d’onda, ci si rende conto che le sorgenti si stagliano contro un fondo diffuso che è dovuto alla somma di numerosissime sorgenti troppo deboli per essere risolte singolarmente», dice Patrizia Caraveo, responsabile per l’INAF dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi-LAT . «Per questo, gli astrofisici cercano di sfruttare le caratteristiche della radiazione di fondo diffusa per indovinare quali siano le sorgenti (deboli e lontane) che, con la loro emissione, contribuiscono alla radiazione di fondo. A priori, non si sa a quale famiglia appartengano le sorgenti non risolte. Per questo è particolarmente interessante notare che lo studio sul fondo rivelato dalla missione Fermi mette in luce la presenza di almeno due componenti caratterizzate da uno spettro marcatamente diverso. È un inizio promettente per capire di più su queste classi di sorgenti», conclude Caraveo.
«È grazie alla capacità del telescopio LAT, a bordo del satellite Fermi, capace di raccogliere dati con continuità e uniformità che si è riuscito a fare uno studio così approfondito e solido del fondo gamma non risolto», commenta Elisabetta Cavazzuti, responsabile dell’ASI per Fermi. «Le caratteristiche di Fermi che continuano a renderlo unico sono infatti la sua sensibilità senza precedenti e la modalità di osservazione in ‘survery’, ovvero osservare il cielo con un ampio campo di vista. Questo gli consente di fornire una visione uniforme, completa (ovvero senza zone non osservate) e molto profonda dell’universo. Tutto ciò ha fornito una base importante per le conclusioni di questo studio», conclude Cavazzuti.
«Questi risultati portano, dunque, nuove e più profonde intuizioni sulle proprietà delle più energetiche sorgenti astrofisiche dell’universo durante la sua evoluzione», spiega Luca Latronico, responsabile nazionale dell’INFN per Fermi e coautore dell’articolo. «Il fondo di raggi gamma non risolto – prosegue Latronico – nasconde, infatti, i segreti più profondi dell’universo violento e potrebbe anche celare il segnale a lungo ricercato che dà indicazione della natura particellare della materia oscura».
«Comprendere dove stiano le sorgenti gamma deboli in termini di profondità o epoche nella storia dell’universo, – spiega Nicolao Fornengo – sarà indagato con ulteriori correlazioni con altre mappe che tracciano le strutture cosmiche, come cataloghi di sorgenti ad altre energie o a specifiche profondità, cataloghi di galassie e ammassi di galassie e mappe di altri messaggeri, come i neutrini». «Sono studi che avranno interessanti sviluppi futuri, in parte già avviati e che trovano conforto e solidità nei risultati prodotti con questa raffinata analisi condotta da Michela Negro», conclude Fornengo.