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di Sara Piccirillo e Silvia Mari (Agenzia Spaziale Italiana – Direzione Scienza e Innovazione)

 

Gli organismi vegetali, dalle alghe alle piante superiori, sono parte integrante degli ecosistemi terrestri, in cui vengono identificati come organismi produttori. Durante il processo di fotosintesi clorofilliana sono, infatti, in grado di utilizzare l’energia del sole per produrre sostanza organica, il glucosio, a partire dall’anidride carbonica e dall’acqua, liberando ossigeno. I produttori sono dunque elementi fondamentali per supportare la vita dell’uomo sulla terra, ma cosa accadrà nei futuri viaggi spaziali?

Nelle attuali missioni di esplorazione umana dello spazio, in bassa orbita terrestre e a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), le risorse necessarie per la sopravvivenza degli astronauti, innanzitutto ossigeno e acqua, sono in parte rigenerate mediante sistemi chimico-fisici. Il cibo fresco è, invece, trasportato a bordo interamente da terra. Questa totale dipendenza dall’invio di risorse da terra diverrà via via più insostenibile nelle missioni di esplorazione umana oltre la bassa orbita terrestre, perché tecnicamente complesso ed economicamente troppo dispendioso. In questo scenario appare evidente l’importanza di mettere a punto sistemi in grado di rigenerare le risorse (aria e acqua), di produrre cibo fresco per la dieta dell’equipaggio e di riciclare i prodotti del metabolismo umano, garantendo quindi una crescente autonomia di risorse ai futuri equipaggi di astronauti. Tali concetti sono alla base dei Sistemi Biorigenerativi di Supporto alla Vita (Blsss), ecosistemi artificiali basati sullo scambio di materia ed energia tra diversi compartimenti, costituiti dall’uomo, dai microrganismi e dagli organismi produttori. Ciascun compartimento utilizza come risorsa per la propria sopravvivenza i prodotti di scarto del metabolismo degli altri in un ciclo ideale.

Nel compartimento dei produttori, le piante rappresentano gli organismi più studiati e più promettenti, grazie alla loro relazione “complementare” con l’uomo. Infatti, grazie alla sola energia luminosa come input, le piante sono in grado di: rigenerare l’aria tramite la fotosintesi; purificare l’acqua mediante il processo di traspirazione fogliare e fornire cibo fresco all’equipaggio. Inoltre, in seguito a processi di biodegradazione, le parti vegetali non edibili, insieme ai prodotti di scarto degli astronauti, possono fornire nuovamente i nutrienti per la crescita delle piante. Nell’ottica di lunghe permanenze nello Spazio, le piante potranno inoltre contribuire a mitigare lo stress psicologico, creando un ambiente simile a quello terrestre e offrendo all’astronauta l’opportunità di un’attività ricreativa.

La realizzazione di sistemi per la coltivazione di piante a bordo delle piattaforme spaziali non può, tuttavia, prescindere dalla conoscenza degli effetti che l’ambiente spaziale ha sulla fisiologia delle piante e quindi sulla loro funzionalità di rigeneratori, nonché sulla quantità e la qualità nutrizionale del cibo fresco prodotto.

A tal fine, l’Agenzia Spaziale Italiana ha coordinato negli anni numerosi progetti di ricerca finalizzati a comprendere come la microgravità e le radiazioni siano in grado di influenzare la crescita degli organismi vegetali e a portare all’identificazione delle migliori condizioni di crescita per le applicazioni spaziali.

Alcuni di questi progetti sono stati condotti nei laboratori “terrestri”, utilizzando facility di simulazione. Tra di essi BioxTreme ha aperto la strada ad un filone di ricerca volto a realizzare piattaforme produttive per la coltivazione nello spazio di varietà di piante selezionate sia per la loro capacità di crescita in condizioni ambientali estreme, sia per la ricchezza in molecole ad elevato potere nutraceutico. In tale ambito si colloca anche il progetto HortSpAce, in cui è stato realizzato un prototipo di orto marziano HortExtreme, testato durante la missione marziana simulata Amadee-18.

PiĂą di recente, le competenze della comunitĂ  scientifica e industriale italiana nel settore dei Blss sono state ulteriormente consolidate nel progetto ReBus. Le attivitĂ  di ricerca di ReBus si sono focalizzate sullo sviluppo di un Blss basato sull’integrazione di diversi organismi (piante superiori, cianobatteri e organismi decompositori) e in grado minimizzare l’impiego di risorse esogene, ottimizzando al contempo l’utilizzo delle risorse disponibili in-situ e il riciclo della materia organica prodotta nel sistema stesso.

La ricerca condotta nei laboratori a terra è senza alcun dubbio fondamentale, ma solo gli esperimenti in ambiente spaziale reale, inclusi quelli condotti sulla Iss, consentono uno step in avanti per il progresso nel settore. Tra di essi occorre citare il progetto Multi-Trop, che è stato parte del piano sperimentale della missione Vita dell’astronauta Paolo Nespoli. L’esperimento, selezionato nell’ambito di un concorso destinato alle scuole superiori e ideato con il coinvolgimento di un gruppo di studenti liceali, aveva due obiettivi: i) verificare l’effetto degli stimoli esercitati da acqua, nutrienti e microgravitĂ  sull’orientamento dell’accrescimento delle radici ii) stimolare l’interesse degli studenti verso la biologia spaziale.

Iniziative di questo tipo ricadono nella mission dell’Asi volta alla promozione di azioni finalizzate a diffondere le scienze spaziali, contribuendo alla crescita di studenti e ricercatori italiani, anche attraverso progetti di alta formazione. In questo contesto si inserisce l’iniziativa Italian Pool of MeLissa PhDs, che ha consentito di finanziare, nell’ambito del programma dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) MeLissa, dedicato ai Blss, 3 borse di dottorato.

Prossimamente un nuovo esperimento a guida italiana, Waps, nato da una collaborazione internazionale selezionata dall’Esa, sarĂ  condotto a bordo della Is. Waps andrĂ  ad analizzare gli effetti della microgravitĂ  sui processi di trasporto dell’acqua.

In preparazione al prossimo ritorno dell’uomo sulla Luna sarà però necessario consolidare le conoscenze acquisite fino ad oggi, armonizzare e capitalizzare i risultati ottenuti, favorire il coinvolgimento di nuove realtà di ricerca. A tal fine 4 nuovi progetti selezionati nell’ambito del bando Asi per “Lo sviluppo di progetti/esperimenti per la Luna” sul tema dei Blss prenderanno presto il via. Tra questi, Bioluna realizzerà un modello semplificato di Blss lunare, basato su un algoritmo di intelligenza artificiale, che integra produttori e consumatori. Beatrice sarà dedicato allo studio e alla prototipazione di un Blss che utilizzi Microbial Fuel Cells, sistemi di coltivazione autonoma e metodologie di In-Situ Resource Utilization. Biomoon riguarderà lo sviluppo di una bioraffineria di terza generazione in grado di produrre alimenti, energia e chemicals da fonti rinnovabili e substrati organici. Infine, Regolife consentirà di studiare gli effetti della colonizzazione di piante e insetti sulla regolite lunare.

Una vasta comunità nazionale contribuisce ai numerosi progetti di Asi. Tra gli enti/aziende che fanno parte di questa rete nazionale vale la pena menzionare: l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, l’Università degli Studi di Pavia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università degli Studi di Padova, l’Enea, il Cnr, l’Istituto Superiore di Sanità, Thales Alenia Space Italia, Kayser Italia, Telespazio, Aiko e Stam.

In alto: l’astronauta Mike Hopkins controlla il pak choi che sta coltivando sulla Iss (Crediti: Nasa)Â