Classe 1957, tre missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale, Esperia, MagISStra e Vita, per un totale di 313 giorni, 2 ore e 36 minuti in orbita, che corrispondono a oltre 600 pasti consumati nello spazio,colazioni e spuntini esclusi. Paolo Nespoli, ex-astronauta italiano dell’Esa, di esperienza sul cibo spaziale ne ha da vendere. E ce la racconta così.
Io comincerei in modo un po’ atipico: preparare cibo spaziale è un problema. È come se uno a casa sua cucinasse qualcosa di molto saporito nel gusto e invitante nell’aspetto e poi una volta pronto, lo mettesse in un pacchettino, lasciandolo lì sul tavolo, all’aria, per un anno intero prima di mangiarlo.
Cosa troverebbe al posto di quel piatto prelibato? Probabilmente una cosa immangiabile. Preparare cibo spaziale è una faccenda tanto complessa quanto cruciale: ciò che si prepara deve essere conservabile per lunghi periodi a temperatura ambiente, essere trasportabile, riscaldabile e raffreddabile, deve poter subire una serie di sollecitazioni e, allo stesso tempo, conservare tutte le caratteristiche nutrizionali di partenza, condizione fondamentale per garantire la salute degli astronauti.
Con MagISStra e Vita sei stato sulla Iss per circa sei mesi ogni volta. Sapevi cosa avresti mangiato? Avete un menù?
La Nasa e l’Agenzia spaziale russa, che sono i due produttori maggiori di cibo, fanno delle sessioni di test nelle quali ti fanno provare tutti i cibi per sapere se ce ne sono alcuni che non ti piacciono o che ti danno fastidio. Collezionano questi dati e poi cercano di fare un menù che possa andar bene un po’ per tutti i membri dell’equipaggio, anche se, ovviamente, non è facile. Dopodiché non è che ti dicono: a cena mangi questo, a colazione mangi quello. Ti danno dei pacchi, ognuno dei quali contiene cibo misurato per 14 giorni. All’interno ci sono diversi tipi di preparati e tu puoi mangiare quello che preferisci. Chiaramente, le cose che piacciono di più finiscono velocemente e alla fine restano quelle che nessuno vuole, ma le mangi lo stesso perché sai che è un problema portare su il cibo. E anche perché se non finisci il contenuto nelle due settimane vuol dire che stai mangiando meno di quello che ti è necessario. In passato gli astronauti tornavano a terra con delle perdite di peso consistenti. E se perdi peso in orbita non perdi il grasso, perdi i muscoli. Il grasso ti rimane, quindi non torni più magro, ma più flaccido.
Oggi, fortunatamente, non è più così. Quando mangi qualcosa devi scannerizzarlo e quel cibo che consumi viene registrato. Una volta a settimana un dietologo controlla il tuo menù e ti dice, per esempio: hai assunto poche calorie, troppo potassio o troppo sale. Poi ti dà una serie di suggerimenti su come cercare di mantenere una dieta equilibrata. L’obiettivo è di farti assumere abbastanza ‘carburante’ affinché il tuo corpo funzioni, senza farti perdere peso o sovraccaricarti con sale, zuccheri o altro.
Il cibo, però, come sappiamo, ha anche effetti importanti sull’umore, tanto che per le future missioni di lunga durata per Luna e Marte è considerato uno degli elementi chiave per mantenere il benessere psicologico degli astronauti.
Sì, è così, e infatti la Nasa per un periodo ha sperimentato dei menù custom tailored, cioè realizzati su misura sui gusti individuali degli astronauti. Questa modalità, però, non ha funzionato, perché la logistica era troppo complessa ed è stata sostituita dal cosiddetto bonus food. In pratica, c’è una quota di cibo ‘personale’, scelta dall’astronauta, che va a incrementare la quota totale prevista. L’Agenzia Spaziale Europea, per esempio, ha scelto di produrre per i propri astronauti cibo tipico locale o nazionale, formulato ad hoc nel rispetto delle regole dettate dalla Nasa, attraverso partnership con aziende e grandi firme, tra cui alcune realtà italiane (come lo chef Stefano Polato per Argotec di cui potete leggere l’intervista a questo link) che hanno contribuito alla produzione di questo bonus food.
Il cibo più buono che hai mangiato lassù? E quello che ti è piaciuto meno?
Non lo so, non c’era un piatto preciso. Sicuramente quando si aprivano questi pacchi, grandi, fai conto, come una scatola di stivali, c’era sempre qualcosa che mi piaceva. Se dovessi dare un voto al cibo sulla Stazione, un voto da 0 a 10, darei sicuramente tra 6 e 7, cioè da sufficiente a discreto. Non c’era niente di supersonico, così come non c’era niente di veramente cattivo. Io ho un rapporto ‘religioso’ col cibo, non posso, non riesco a lasciare qualcosa nel piatto, a meno che non sia davvero disgustoso. Capisco la complessità di preparare il mangiare, gli faccio onore e ringrazio. Anche quando ero nell’esercito, mangiavo cibo buttato coi pentoloni sui vassoi d’acciaio e non mi lamentavo. Non è mai stato un problema, per me, il cibo. Era un problema quando non c’era.
E per il tuo bonus food cosa hai scelto?
Prelibatezze tipiche italiane: risotto alla milanese, lasagna, piatti che ho avuto l’occasione di condividere a bordo nelle famose ‘cene italiane’, ma anche pasticcini e cioccolatini che ho gustato guardando l’Italia che mi scorreva sotto mentre mi affacciavo nella Cupola, la finestra italiana sulla Terra e sullo Spazio.
Come lo immagini il cibo spaziale del futuro? Quali sono le criticità pensando alle future missioni di lunga durata per Luna e Marte?
Portare il cibo da terra è un problema di costi, di spazi, di pesi, di conservabilità. Già andare sulla Luna potrebbe essere un problema, ma è un problema che si può risolvere. Per Marte invece le cose cominciano a diventare complicate. È chiaro che per il futuro si dovrà trovare il modo di produrre cibo in situ. In uno studio della Mit University di Boston, a cui ho partecipato, avevano proposto di realizzare un cibo in tubetto, una sorta di pasta da dentifricio commestibile. Ci sono poi progetti di stampanti 3D alimentari: ti stampi la tua mela e aggiungi sapori e colori così che il cibo prodotto da un lato sia commestibile e dall’altro sia anche appetibile e ti faccia venire voglia di mangiarlo.
Sulla Iss abbiamo sperimentato la coltivazione di vegetali con ottimi risultati. Avere delle serre in cui si producono piante e ortaggi, non solo permette di avere sempre cibo fresco a disposizione, ma consente anche di svolgere un’attività che ha effetti positivi sul benessere dell’astronauta, perché prendersi cura delle piante fa bene fisicamente e psicologicamente. Ecco, tutto questo è sicuramente nel futuro.
In alto: Paolo Nespoli con una pianta di lattuga coltivata a bordo della Iss durante la missione Vita (Crediti: Esa/Nasa)