Il James Webb potrebbe aver trovato la risposta a uno dei quesiti più misteriosi dell’astronomia: quali galassie hanno portato il primo universo fuori dalla sua era oscura?

Circa 400.000 anni dopo il grande bagliore di luce generato dal Big Bang, il cosmo non era affatto luminoso come lo conosciamo oggi. La mancanza di luce non era, tuttavia, dovuta a un numero ancora limitato di stelle e galassie, bensì all’abbondanza di gas denso nello spazio intergalattico: una nebbia cosmica che per molto tempo ha assorbito completamente la luce generata dalle prime stelle, oscurando così il giovane universo.
Questo buio cosmico sarebbe finito solo grazie al cosiddetto processo di reionizzazione, ovvero il fenomeno per cui la luce ionizzante di alcune stelle è riuscita a penetrare la nebbia tra le galassie, facendola così svanire.
Ancora oggi gli astronomi si chiedono se le stelle protagoniste di questo processo appartenessero a galassie giganti, poche nel primo universo ma così massicce da produrre molta luce, oppure a piccole e deboli giovani galassie, molto meno luminose ma molto più numerose già nelle prime fasi del cosmo.

Secondo recenti osservazioni profonde del telescopio di Nasa, Esa e Csa, la luce sul giovane universo sarebbe stata riaccesa dalle stelle di tante piccole e deboli galassie nane già presenti nel cosmo primordiale. La scoperta, pubblicata su Nature, è stata ottenuta analizzando 8 giovani galassie particolarmente distanti, e quindi antiche, sfruttando il fenomeno della lente gravitazionale attraverso l’ammasso Abell 2744, soprannominato Ammasso di Pandora.

La distorsione dello spazio-tempo generata dall’enorme massa di questo ammasso amplifica come una lente la luce delle galassie più distanti, rendendo così osservabili anche quelle più flebili. Il James Webb ha così potuto confermare l’esistenza di piccole e deboli galassie nane già nell’universo primordiale. Secondo lo studio, le galassie analizzate avevano nel primo cosmo una luminosità pari a circa lo 0,5% di quella attuale della nostra Via Lattea.

Inoltre, la ricerca ha svelato qualcosa di inaspettato: le stelle di queste deboli galassie hanno prodotto una quantità di luce ionizzante quattro volte superiore a quella attesa, un valore al limite dei modelli con cui spieghiamo la formazione delle prime stelle. Questa scoperta suggerisce così che il contributo delle galassie più deboli del primo universo potrebbe essere stato determinante nel processo di reionizzazione – molto più di quanto pensato finora.

Immagine in evidenza: Due delle galassie più distanti mai viste, ingrandite dall’Ammasso di Pandora. Crediti: Nasa/Esa/Csa/T.Treu (Ucla)/CC BY