A quasi settant’anni dall’inizio dell’era spaziale, lo Space Weather (meteorologia spaziale) è ancora di difficile comprensione e previsione. La nostra vita quotidiana, però, dipende sempre di più da tecnologie sensibili alle condizioni meteorologiche spaziali: dai blackout radio alle interruzioni del Gps o della corrente. Gli scienziati stanno quindi costruendo un modello digitale dello spazio attorno alla Terra per migliorare la previsione delle tempeste solari e dei loro effetti sulla Terra.
«Non possiamo prevedere la meteorologia spaziale senza prima comprenderne a fondo la fisica – ha detto a Space.com Slava Merkin, fisico spaziale del Laboratorio di Fisica Applicata (Apl) dell’Università Johns Hopkins nel Maryland, direttore del Center for Geospace Storms (Cgs) e autore della ricerca – Stiamo costruendo il modello e, attraverso ciò, stiamo scoprendo la fisica delle tempeste geospaziali».
Geospazio è un termine che gli scienziati usano per descrivere la regione attorno al nostro pianeta: è quattro volte la distanza Terra – Luna, ma l’influenza del nostro pianeta sul cosmo è molto più estesa, la coda della magnetosfera terrestre arriva a 6,5 milioni di chilometri dal noi, nella direzione opposta al Sole.
Con il nuovo modello, chiamato Multiscale Atmosphere-Geospace Environment (Mage), i ricercatori vogliono cogliere i processi che hanno luogo nel geospazio fino a una distanza di 2 milioni di chilometri dalla Terra.
Generata dal movimento dei metalli fusi all’interno del nucleo terrestre, la magnetosfera interagisce con le esplosioni di vento solare: flussi di particelle cariche che il Sole emana costantemente. Questa interazione produce gli eventi meteorologici spaziali. «Ogni livello dell’atmosfera terrestre e del geospazio è governato da una fisica diversa – ha spiegato Merkin – Ognuno è occupato da diverse quantità di plasma e di gas le cui interazioni sono molto complesse, in particolare durante le tempeste geomagnetiche. Il modello computerizzato che stiamo sviluppando deve essere in grado di catturare i processi che avvengono su scala molto ampia ma anche quelli su scala molto piccola. Inoltre, è necessario comprendere le diverse incognite di fisica e come i vari livelli – atmosfera inferiore e media, ionosfera e magnetosfera – si influenzano a vicenda. Non abbiamo, però, sufficienti veicoli spaziali in questa enorme regione per sapere veramente cosa sta succedendo a livello di sistema».
A differenza dei modelli di previsione meteorologica terrestre, che dispongono di continue e quotidiane misurazioni effettuate in tutto il mondo da centinaia di migliaia di stazioni meteorologiche, aerei e palloni ad alta quota, Mage deve accontentarsi di meno misurazioni.
Il gruppo di ricerca ha accesso ai dati raccolti dall’inizio dell’era spaziale. Tuttavia, esistono grandi lacune, come lo strato inferiore della termosfera, situato tra i 100 e i 200 chilometri, talvolta soprannominato ’ignorosfera’ poiché poco compreso; è il luogo in cui si verificano le aurore, troppo alta per essere raggiunta dai palloni stratosferici ma troppo bassa per essere esplorata dai satelliti. Mage potrebbe colmare alcune di queste lacune sfruttando potenti supercalcoli effettuati dai satelliti oltre l’atmosfera, insieme alle informazioni provenienti da radar e altri sensori sulla Terra.
«Man mano che procediamo, il modello diventa sempre più complesso. Stiamo aggiungendo sempre più dati di fisica ad esso. Il prodotto finale rappresenterà il geospazio nella sua massima complessità. Potrebbero volerci decenni, ma modellare la meteorologia spaziale è un’impresa estremamente complicata» ha concluso Merkin.
Immagine in evidenza: tempesta geomagnetica (illustrazione) – Crediti: Nasa