‘Ascoltare’ il rumore generato dalle collisioni in orbita dei detriti spaziali per scoprire dove questi frammenti si trovano e di che natura sono. È il principio dell’innovativo metodo di tracciamento della spazzatura spaziale proposto da un team dell’Università del Michigan che si basa sul captare il segnale emesso dagli scontri di oggetti da cui si generano frammenti sempre più piccoli.

Secondo il loro lavoro, anche le microcollisioni in orbita producono, infatti, esplosioni elettriche che possono essere individuate dai radiotelescopi terrestri, permettendo così di seguire frammenti che fino a oggi rimanevano invisibili ai tracciamenti tradizionali. Una innovazione che potrebbe potenzialmente aiutare a salvare satelliti e veicoli spaziali.

Secondo le stime fornite da Esa aggiornate a dicembre 2023, sono circa 36 mila i detriti spaziali di dimensioni superiori a 10 centimetri, mentre quelli da 1 a 10 centimetri salgono a 1 milione di frammenti, per schizzare fino a 130 milioni le particelle sotto il centimetro di dimensioni. Questi piccolissimi frammenti, i più numerosi, sono invisibili agli attuali metodi di tracciamento che sfruttano i radar e i telescopi ottici a terra.

«Al momento, rileviamo i detriti spaziali cercando gli oggetti che riflettono i segnali luminosi o radar – afferma Nilton Renno, primo autore della ricerca – Più gli oggetti diventano piccoli, più diventa difficile ottenere la luce del sole o segnali radar abbastanza forti da rilevarli da terra».

Oggi, gli unici frammenti rintracciabili sono gli oggetti grandi tanto quanto la metà di un pallone da calcio; tuttavia, ora, il nuovo metodo è in grado di rilevare detriti di diametro inferiore a un millimetro, ovvero di dimensioni simili allo spessore della mina di una matita. Particelle minuscole ma sufficienti per distruggere o danneggiare gravemente i satelliti operativi nel caso in cui li dovessero colpire.

Le continue collisioni in orbita alimentano un processo a cascata che porta i detriti ad aumentare costantemente il loro numero ma a rimpicciolirsi sempre di più. Tuttavia,  gli stessi scontri tra questi frammenti potrebbero rivelarsi il modo migliore per rintracciare le più piccole particelle della spazzatura spaziale.

«Quando la nube di gas carico e di frammenti di detriti si espande, crea esplosioni di energia simili a fulmini, come i segnali prodotti dalle scintille statiche che appaiono dopo aver strofinato una coperta appena lavata», afferma Mojtaba Akhavan-Tafti, responsabile del progetto.

Dopo questa prima esplosione di energia, i frammenti di detriti possono creare impulsi di campo elettrico ogni volta che sono abbastanza vicini l’uno all’altro, producendo ulteriori esplosioni simili a fulmini. Questi segnali elettrici durano solo una frazione di secondo, ma potrebbero aiutare a tracciare i pezzi di detriti spaziali e le nubi di frammenti microscopici che si formano quando i detriti si scontrano.

Secondo le più recenti simulazioni al computer del team, la collisione a velocità orbitali di due pezzi di alluminio emette un impulso elettrico abbastanza forte da poter essere rilevato da terra da radiotelescopi terrestri con una parabola di 26 metri con un ricevitore radio di alta qualità. Per vedere i segnali elettrici delle collisioni, questi devono infatti essere più forti dei segnali di fondo dello strumento che da terra li sta rilevando.

Il prossimo passo sarà quello di affiancare le nuove simulazioni al computer alle misurazioni dei segnali reali ottenute tramite il Deep Space Network di Nasa. I ricercatori sperano, inoltre, che la natura dei segnali dalle collisioni possa rivelare molto di più sui frammenti di detriti rispetto alla loro posizione, potendo così dedurre forma e natura di un piccolo detrito spaziale.

«Vogliamo sapere se un oggetto è duro o morbido, perché questo influisce sul modo in cui orbita e su quanto può essere dannoso», conclude Akhavan-Tafti.

Immagine in evidenza: illustrazione artistica dei detriti di spazzatura spaziale in orbita intorno alla Terra. Crediti: Nasa