di Silvio Fugattini e Alfredo Andreoli
In un mondo sempre più tecnologico e pieno di dispositivi elettronici portatili, vorremmo avere batterie che durino all’infinito ma, purtroppo, ci ritroviamo invece ad avere più carica-batterie che vestiti in valigia. Similmente, in ambito aerospaziale, dove non è possibile sostituire le batterie che alimentano i satelliti terrestri o le sonde interplanetarie, la vita dell’accumulatore di carica elettrica coincide purtroppo con la vita operativa del dispositivo.
Questi sono solo due dei tanti motivi che spiegano come mai la ricerca nel campo delle batterie sia estremamente attuale e di grande interesse sia dal punto di vista commerciale che scientifico.
Il progetto ANGELS (ANode GErmanium Lithium ion batteries for Space applications), inserendosi in questa tematica di ricerca, ha ricevuto attenzione da parte dell’Agenzia Spaziale Italiana che lo ha finanziato all’interno del bando ”Nuove idee per la componentistica spaziale del futuro”.
La ricerca riguarda una delle principali componenti di una batteria, nota con il gergo di anodo, che nella maggior parte dei dispositivi attualmente disponibili in commercio è realizzata in carbonio (grafite). L’anodo di nuova concezione sviluppato all’interno del progetto ANGELS, per il quale è stata già depositata una domanda di brevetto, è realizzato principalmente in germanio. Studi preliminari hanno mostrato che è possibile realizzare anodi con una capacità fino a 4 volte superiore rispetto alle batterie agli ioni di litio attuali, essendo il germanio un materiale in grado di accumulare molti più ioni litio rispetto al carbonio. Questi valori di capacità di accumulo sono stati mantenuti invariati per qualche migliaio di cicli di carica e scarica, raggiungendo risultati importanti anche sotto l’aspetto dell’affidabilità.
Il progetto è coordinato dal Prof. Donato Vincenzi del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara e vede coinvolti partner illustri come l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, il gruppo MNF della Fondazione Bruno Kessler di Trento (FBK) e il Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica dell’Università di Cagliari.
Il prosieguo del progetto sarà volto a migliorare ulteriormente le prestazioni sin qui ottenute e ottimizzare il processo di fabbricazione per abbassare i costi di produzione, al fine di rendere questo tipo di tecnologia interessante ed applicabile dal punto vista industriale. Verranno inoltre eseguiti esperimenti specifici per testare il funzionamento in ambienti che simulano le condizioni estreme in cui tipicamente opera una batteria nello spazio. I requisiti per ottenere la certificazione spaziale sono molto stringenti e richiedono, ad esempio, temperature di lavoro fino a – 60°C, durata del dispositivo di 10 anni e decine di migliaia di cicli di carica e scarica.La sfida è interessante, il futuro è alle porte e l’utilizzo del germanio può essere una strada da percorrere.