Un ‘ombrello solare’ legato a un asteroide potrebbe aiutare a ridurre la quantità di luce solare che colpisce la Terra.

E’ una delle proposte che gli scienziati stanno sviluppando per mitigare il cambiamento climatico.

Il nuovo approccio, descritto in ‘Solar radiation management with a tethered sun shield’ e pubblicato in Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato proposto da István Szapudi dell’Istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii. Lo studio prevede che lo scudo solare sia legato a un asteroide che serva da contrappeso, con l’obiettivo di ridurre la radiazione solare dell’1,7 per cento.

«Alle Hawaii, molti usano un ombrello per bloccare la luce del sole mentre camminano durante il giorno. Stavo pensando che potremmo fare lo stesso per la Terra» ha detto Szapudi.

In realtà l’idea non è nuova, ma questo studio ha offerto soluzioni creative affinché il peso dello scudo sia bilanciato dalle forze gravitazionali e non sia allontanato o distrutto dalla pressione delle radiazioni solari. La nuova soluzione sarebbe inoltre più veloce ed economica da costruire e schierare, rispetto a precedenti modelli di scudi.

Secondo lo scienziato, legare un contrappeso renderebbe lo scudo circa cento volte più leggero rispetto a stime precedenti con uno scudo non legato. Lanciare da Terra solamente lo scudo, significa mandare in orbita solo l’1 per cento dell’intera struttura, mentre il restante 99 per cento sarebbe costituito da asteroidi o polvere lunare usata come contrappeso.

Il peso dello scudo, tuttavia, è ancora ben oltre le attuali capacità di lancio. Con materiali più nuovi e più leggeri, la sua massa potrebbe essere ulteriormente ridotta. E’ previsto inoltre lo sviluppo di un cavo in grafene, leggero e resistente, che colleghi lo scudo al contrappeso.

Nel complesso, l’idea di Szapudi, anche con la tecnologia odierna, rientra nel campo delle possibilità, mentre i precedenti progetti di uno scudo solare erano totalmente irrealizzabili.

 

Immagine in evidenza: illustrazione di uno scudo solare –  Crediti: Brooks Bays (Università delle Hawaii)