Chi di noi non vorrebbe vestire i panni di un astronauta? Eppure sembra non essere pratica così igienica e sicura.
Per rendere più candido l’avverarsi di questo desiderio, l’Agenzia Spaziale Europea sta studiando nuove tecniche per rendere salubre il simbolo dell’esplorazione del cosmo, la tuta spaziale.
All’interno del progetto BACTeRMA, l’Austrian Space Forum collaborerà con il Vienna Textile Lab, centro specializzato in coloranti tessili batterici, per testare tessuti con proprietà antibatteriche, col fine di ottimizzare l’igienizzazione delle tute spaziali utilizzate nelle missioni di lunga durata.
Non tutti sanno, infatti, che la divisa da astronauta non è sempre un indumento strettamente individuale, specialmente quelle indossate in azioni specifiche come le passeggiate nello spazio.
La divisa EMU, ossia External Mobility Unit, nata durante l’era dello Space Shuttle e oggi in dotazione agli equipaggi della Stazione Spaziale Internazionale, è l’equipaggiamento che gli astronauti spartiscono tra loro per le attività extraveicolari.
Condivisione destinata a crescere con la nuova stazione spaziale in orbita lunare, il Lunar Gateway.
Uno dei motivi alla base di questa forma di sharing economy extraterrestre è sicuramente un mix di costo, ingombro e alta complessità che caratterizzano la divisa: basti pensare che il libretto di istruzioni di una EMU è di 600 pagine.
In effetti, dietro al termine semplicistico tuta spaziale si cela in verità una matrioska di indumenti e attrezzature fondamentali.
La EMU è costituita da diversi componenti di varie funzioni e dimensioni, che possono essere scambiati per adattarsi ai singoli astronauti.
Sopra gli indumenti più intimi e personali, tra cui un pannolino usa e getta per adulto e un indumento di comfort termico per prevenire lo sfregamento, ogni astronauta indossa il Liquid Cooling and Ventilation Garment (LCVG), una specie di cotta di maglia del terzo millennio.
Questa armatura flessibile incorpora tubi di raffreddamento liquido e ventilazione a gas per mantenere il corpo fresco e confortevole durante lo sforzo fisico extraveicolare. Essa è l’indumento più intimo che viene condiviso tra i spacewalker.
La questione igienica, o di irritazioni cutanee, non è la sola spinta a ricercare tecniche avanzate di igienizzazione delle divise, quindi il superamento dei materiali antimicrobici tradizionali come l’argento o il rame. «La contaminazione biologica dei tessuti per il volo spaziale può rappresentare un rischio ingegneristico durante i voli di lunga durata», spiega l’ingegnere dei materiali dell’ESA Malgorzata Holynska. Rischio ancor più elevato se pensiamo che alcune passeggiate cosmiche arrivano a una durata di 8 ore.
Particolarità del progetto BACTeRMA è quello di volere trovare la soluzione alla presenza di microbi nelle tute, proprio partendo dai prodotti biologici ottenuti dai microbi stessi.
«Potrebbe sembrare controintuitivo sbarazzarsi dei microbi usando i prodotti dei microbi, ma tutti i tipi di organismi usano metaboliti secondari per proteggersi da condizioni ambientali estreme. Il progetto li esaminerà come una finitura tessile antimicrobica innovativa», spiega Seda Özdemir-Fritz, ricercatrice dell’Austrian Space Forum.
Infine, il progetto prevede una fase di test finale, esponendo le finiture tessili innovative sviluppate non solo al sudore umano ma anche alle radiazioni:
«I test sulle radiazioni simuleranno la conservazione prolungata nell’ambiente dello spazio profondo», dichiara Malgorzata Holynska. «Le radiazioni sono note per invecchiare e degradare i tessuti in modi complessi».