Il 12 novembre 2014, il lander Philae della missione ESA Rosetta tenne il mondo col fiato sospeso con una serie imprevista di rimbalzi dopo il primo touchdownsulla cometa, che lo vide arrestarsi solo due ore dopo in un punto diverso, scoperto molti mesi più tardi, del piccolo corpo celeste. Quello di Philae è passato alla storia come il primo “atterraggio soffice” di una sonda spaziale su una cometa. Sei anni dopo, l’analisi dei dati raccolti durante e dopo l’accaduto mostra quanto l’interno della cometa stessa sia soffice, come la neve fresca o la schiuma del cappuccino.
Dopo un lungo lavoro investigativo guidato da Laurence O’Rourke dell’ESA, è stato finalmente scoperto il punto del “capitombolo” centrale del lungo percorso di Philae, di cui erano note le posizioni solo della prima e dell’ultima toccata. Lo studio, basato sui dati di diversi strumenti a bordo di Rosetta nonché del magnetometro di Philae, è stato pubblicato in un articolo sulla rivista Nature.
Oltre a risolvere l’ultimo mistero riguardante il rocambolesco atterraggio, questo risultato rivela una grande abbondanza di ghiaccio d’acqua, che nella regione scalfita ed esposta da Philae raggiunge fino al 50% del totale. Significativo per raggiungere questa conclusione il contributo dei ricercatori Gianrico Filacchione, Mauro Ciarniello, Andrea Raponi e Fabrizio Capaccioni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica(INAF) e dei dati raccolti dallo strumento italiano VIRTIS (Visible InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer), finanziato dall’Agenzia Spaziale Italianae realizzato dalla Leonardo S.p.A. di Campi Bisenzio (Firenze) sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF.
“Il masso, in inglese boulder, spaccato da Philae è molto riflettente, rivelando la più grande percentuale di ghiaccio d’acqua che abbiamo osservato sulla cometa, e dimostrando che il ghiaccio può essere presente in abbondanza elevata sulla superficie”, spiega Filacchione, tra i co-autori del nuovo articolo. “Inoltre, il ghiaccio risulta essere molto poroso, come indica la bassa resistenza alla compressione, di soli 12 pascal, esercitata dal materiale in risposta all’impatto di Philae”.
Il lander, grande come una lavatrice e dotato di diverse appendici tra cui i tre “piedi”, le antenne e altri sensori, ha trascorso circa due minuti nell’area individuata dal nuovo studio. Non si tratta di un semplice rimbalzo elastico, come quello di una pallina sul campo da tennis, ma della risposta di un corpo dalla forma complessa che cade su un terreno scosceso – il tutto in un regime di microgravità, causato dalla massa esigua della cometa. E così Philae ha intaccato la superficie cometaria in diversi punti durante questo secondo rimbalzo, lasciando una serie di segni che sono valsi a questa regione il soprannome di “cima del teschio”.
“A più di 4 anni dalla conclusione della missione, l’analisi dei dati di Rosetta ancora ci riserva grandi soddisfazioni. Il team guidato da Laurence O’Rourke ha saputo sfruttare un evento inaspettato come l’atterraggio in più fasi del lander Philae per aprire delle possibilità di indagine della composizione e della struttura della immediata sotto-superficie della cometa originariamente non previste”, commenta Eleonora Ammannito, ricercatrice dell’Agenzia Spaziale Italiana. “La presenza e la consistenza del ghiaccio di acqua così vicino alla superficie sarà una indicazione preziosa nella progettazione delle nuove missioni cometarie che inevitabilmente avranno come obiettivo quello di raggiungere il materiale pristino e non alterato contenuto all’interno di questi oggetti ancora misteriosi”.
Importante in questo contesto anche il contributo di Alessandra Rotundi dell’Università Parthenope di Napoli, a capo di un altro strumento a bordo di Rosetta, i cui modelli sono stati usati per determinare il rapporto tra polvere e ghiaccio nella regione. La presenza copiosa di ghiaccio pochi centimetri o decimetri sotto la superficie del masso toccato dal lander, coperto come tutta la cometa da uno strato scuro di materiale refrattario ed organico, apre prospettive interessanti per future missioni che potrebbero visitare comete per raccogliere materiale da riportare e studiare sulla Terra. Le comete sono “capsule temporali” che conservano al loro interno materiale primordiale risalente agli albori del Sistema solare, prima che si formassero la Terra e gli altri i pianeti, utilissimo ai ricercatori per studiare le nostre origini cosmiche. Queste missioni di sample returnsono però estremamente ambiziose, come evidente dalle recenti operazioni della sonda NASA OSIRIS-REx, che negli ultimi giorni ha prelevato un campione dell’asteroide Bennu, non senza difficoltà e imprevisti.
“Sapere che non bisogna necessariamente scavare in profondità per raggiungere il ghiaccio e altri composti volatili di origine primordiale, ma se ne può trovare a sufficienza in prossimità della superficie di una cometa è rincuorante”, commenta Capaccioni. “Questo significa che una futura missione di sample return potrebbe ragionevolmente raccogliere e preservare in condizioni criogeniche non solo materiale organico e refrattario, ma anche ghiaccio e composti maggiormente volatili che rappresentano uno spaccato della composizione primordiale della nube da cui si è formato il nostro Sistema solare”.
Lo studio è stato pubblicato online sulla rivista Naturenell’articolo The Philae lander reveals low strength primitive ice inside cometary boulders.