Pubblicata su Nature Astronomy una ricerca di un team internazionale guidato dalla professoressa Paola Marigo, del dipartimento di fisica e astronomia Galileo Galilei dell’Università di Padova e associata all’Istituto nazionale di astrofisica, sull’origine del carbonio, elemento essenziale per la vita sulla Terra, nella Via Lattea.
Grazie alle osservazioni del telescopio Keck alle Hawaii e del telescopio spaziale Nasa/Esa Hubble, ai dati di Gaia è stato possibile analizzare alcune nane bianche situate in ammassi stellari aperti – gruppi di stelle tenuti insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale.
Le nane bianche sono resti stellari, molto densi e compatti, delle stelle che hanno una massa fino a 8 volte quella del Sole. Attraverso i venti stellari queste stelle, negli ultimi momenti della loro esistenza, spargono le loro ceneri e tra gli elementi che compongono queste ceneri c’è il carbonio. Elemento indispensabile per la vita, la sua origine nella nostra Galassia è ancora oggetto di dibattito. Ogni atomo di carbonio presente nell’Universo è stato creato dalle stelle, attraverso la fusione di tre nuclei di elio.
Dalla misurazione delle masse della nane bianche i ricercatori sono stati in grado di risalire alle stelle progenitrici, calcolando le loro masse alla nascita. La relazione massa iniziale – finale è uno strumento fondamentale in astrofisica in quanto legata al ciclo della vita delle stelle. Questa relazione è sempre stata descritta con un andamento crescente (più è massiccia la stella alla nascita, più grande sarà la massa della nana bianca alla sua morte).
Questa volta gli scienziati si sono trovati difronte a un’anomalia, infatti confrontando i dati si sono resi conto che le masse delle nane bianche erano significativamente più grandi di quanto credessero e che «la loro inclusione interrompeva la crescita lineare, introducendo una sorta di piccola increspatura nella relazione, in corrispondenza a stelle nate con una massa attorno a due volte la massa del Sole. Stelle nate all’incirca 1,5 miliardi di anni fa nella nostra Galassia non hanno prodotto nane bianche di circa 0,6-0,65 masse solari, come fino a oggi si poteva supporre, bensì, morendo, hanno lasciato dietro sé resti compatti più massicci, fino a circa 0,7-0,75 masse solari» afferma Léo Girardi dell’Inaf di Padova.
Come spiegare quindi questo risultato controcorrente? I ricercatori hanno interpretato questa piccola increspatura nella relazione massa iniziale – finale come la firma della sintesi del carbonio a opera delle stelle di piccola massa nella Via Lattea.
«Nelle ultime fasi della loro vita le stelle con una massa iniziale circa pari a due volte quella del Sole forgiarono nuovi atomi di carbonio nei loro caldi strati interni, per poi trasportarli fino in superficie e spargerli nel mezzo interstellare. I nostri modelli stellari dettagliati indicano che la rimozione del mantello esterno ricco di carbonio fu un evento che si verificò abbastanza lentamente da consentire ai nuclei centrali di queste stelle, le future nane bianche, di crescere sensibilmente in massa, più di quanto si riteneva» spiega Paola Marigo.
Analizzando la relazione di massa iniziale – finale i ricercatori hanno registrato che una massa pari a circa 1,5 volte la massa del Sole rappresenta la massa minima affinché una stella, prossima alla morte, possa arricchire di carbonio il mezzo interstellare. Il carbonio di cui siamo fatti proviene, quindi, da stelle con una massa alla nascita non inferiore a circa 1,5 masse solari.
Immagine in apertura: NGC 7789, noto anche con il nome di Caroline’s Rose, è un ammasso stellare aperto della Via Lattea, che si trova a circa 8000 anni luce di distanza in direzione della costellazione di Cassiopea. Ospita alcune nane bianche di massa insolitamente alta, analizzate nel nuovo studio. Crediti: Guillaume Seigneuret e NASA