L’ammasso globulare di Omega Centauri, situato nella Via Lattea a 18mila anni luce da noi, sta perdendo le sue stelle a causa della forza mareale della nostra galassia. Le stelle perdute sono state identificate grazie ai dati raccolti dalla missione Esa Gaia, che vede una importante partecipazione scientifica dell’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Agenzia Spaziale Italiana che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium (Dpac). Lo studio è stato realizzato da un team di ricercatori dell’Osservatorio Astronomico di Strasburgo, dell’Inaf e dell’Università di Stoccolma. Le cosiddette “code mareali” individuate dagli scienziati attorno all’ammasso e la loro distribuzione nello spazio suggeriscono che Omega Centauri sia in realtà ciò che rimane di una galassia nana in parte disgregata dall’interazione con la Via Lattea.
La natura di Omega Centauri è stata a lungo dibattuta, sul fatto che fosse davvero un ammasso globulare o invece il cuore di una galassia nana che ha perso le stelle più periferiche, oggi sparse nella Via Lattea. Quest’ultima ipotesi si basa sul fatto che ω Cen contiene diverse popolazioni di stelle, con una vasta gamma di metallicità (cioè il contenuto di elementi chimici pesanti) che tradiscono processi di formazione stellare protratti in un lungo periodo di tempo, tipici dell’evoluzione di una galassia. I ricercatori sono andati letteralmente a setacciare le regioni circostanti all’ammasso, alla ricerca di stelle “perse” lungo la sua orbita all’interno della Via Lattea. Infatti, quando una galassia nana interagisce con una galassia massiccia come la nostra, almeno una parte delle sue stelle le viene strappata dalla forza di marea. Le stelle strappate dall’ammasso non sono più gravitazionalmente legate ad esso ma hanno orbite simili, e dunque si dispongono in strutture strette e allungate sul percorso dell’orbita (le code mareali), che possono rimanere coerenti anche per lungo tempo. Analizzando i movimenti delle stelle misurati dal satellite Gaia con un algoritmo chiamato Streamfinder sviluppato dal team, i ricercatori hanno identificato diversi flussi di stelle. Uno di loro, chiamato “Fimbulthul”, dal nome di uno dei fiumi primigeni della mitologia nordica, contiene 309 stelle che si estendono nel cielo per un’ampiezza di oltre 18 gradi.
«Modellando le traiettorie delle stelle, abbiamo scoperto che la struttura di Fimbulthul è una corrente di marea composta da stelle strappate da ω Cen, che si estende nel cielo fino a grande distanza dall’ammasso – commenta Michele Bellazzini, dell’Inaf di Bologna he ha partecipato allo studio. “A partire da questo dato iniziale siamo riusciti ad escogitare un criterio di selezione che ha permesso di tracciare le code mareali a partire dall’ammasso fino a congiungersi con Fimbulthul. Le osservazioni spettroscopiche di cinque stelle di questo flusso effettuate con il Canada-France Hawaii Telescope mostrano che le loro velocità sono molto simili e che hanno delle metallicità paragonabili alle stelle di Omega Centauri. Tale proprietà rafforza l’idea che il flusso di marea sia collegato a proprio a quell’ammasso».
I dati delle proprietà dinamiche delle stelle di Omega Centauri e di quelle nelle regioni ad esso circostanti ottenuti dalla missione Gaia e l’algoritmo sviluppato ad hoc ha permesso ai ricercatori sono di dimostrare la presenza di questo flusso stellare anche in una zona del cielo con un’alta densità di stelle della nostra galassia. In futuro, gli scienziati contano di rendere sempre più preciso il modello teorico per riscostruire con maggiore precisione la storia evolutiva della galassia nana progenitrice di ω Cen.