«Per Zarquon! Questa patetica creatura sarebbe la specie dominante?».
«Così sembra, ammiraglio, anche se neanch’io ho mai visto un bipede più insulso».
Il bipede in questione, un cinquantenne brizzolato, si rivolse con accento capitolino agli alieni che lo sovrastavano.
«Dove mi trovo? Perché mi avete rapito?».
Il più alto dei due alieni strinse gli occhi da rettile. «Facciamo noi le domande, sfrontato sotto-essere. Rispondi: sei il predatore al vertice della catena alimentare di questo pianeta?».
Il terrestre batté le palpebre. «Sono un amministratore delegato».
L’alieno sembrò soddisfatto. «Sarai tu, allora, ad affrontare Frantumasvol il Sadico nel Sacro Duello delle Mille Morti».
«Sacro cosa?».
Un portone si aprì con rumore di ferraglia. Dall’oscurità emerse un ammasso di artigli, corazze, tentacoli, aculei, zanne e chele che scattavano con smania omicida. Il terreste arretrò. «Temo ci sia un equivoco».
L’alieno sbuffò, infastidito. «Signor Bastablon, chiarisca senza perdere tempo».
Il secondo ET annuì con entrambe le teste. «Sappi, ottuso bipede, che ti trovi al cospetto dell’ammiraglio Gargravarr, comandante della gloriosa Quinta Flotta Imperiale, dominatore dei Nubimondi di Yaga, distruttore del pianeta Folfanga, vincitore di Gagrakacka, padrone di Dalforsas, di Kakrafoon, di Solfinian e di tutto l’Ammasso Centrale».
«Piacere» azzardò il terrestre. «Io invece mi occupo di software per provisioning e fatturazione. Dovrei avere una business card da qualche parte».
«Non ho finito!» lo zittì l’alieno bicefalo. «Ti trovi sulla Inutile Resistere, incrociatore di classe A, di cui sono Primo Ufficiale. Il nostro raggio-trattore ti ha prelevato per il Sacro Rito Imperiale».
«Sacro che?» ripeté il terrestre.
«La Flotta Imperiale, prima di saccheggiare un pianeta, offre una possibilità agli abitanti. Il migliore dei nostri guerrieri si batte con un indigeno: se vince, saccheggiamo, distruggiamo e devastiamo a volontà; se perde, rinunciamo all’attacco. La seconda eventualità, tuttavia, non si è mai verificata negli ultimi trecento cicli».
«Gli indigeni sono stati tutti sconfitti?» s’informò il terrestre.
«Sono stati scuoiati, sventrati, disossati e divorati. Non necessariamente in quest’ordine».
«Abbiamo chiarito, finalmente?» protestò Gargravarr. «Forza col duello!».
Il mostro avanzò minaccioso, le enormi chele a stridere sul pavimento metallico. Da qualche parte rullarono tamburi.
«Un momento!».
«Che c’è ancora?».
«Perché dovete attaccare la Terra?».
Bastablon atteggiò la mandibola sinistra a punto interrogativo. «Vi saccheggeremo per procurarci le scorte necessarie al viaggio. Siamo diretti al sistema Carfrax, dove affronteremo la vile Flotta dell’Alleanza di Jajazikstak».
«Se avete bisogno di rifornimenti, perché non li chiedete pacificamente?».
I due alieni lo squadrarono con sospetto. «Paci…cosa?».
«Quanto materiale vi serve? Avete una lista?».
Gargravarr aggrottò le placche cornee che aveva per sopracciglia. «Signor Bastablon?».
«Non abbiamo niente del genere, ammiraglio».
«Buttiamola giù adesso». Il terrestre estrasse uno smartphone dal taschino del blazer. «Immagino vi occorra cibo per l’equipaggio… In quanti siete?».
«Signor Bastablon?» ripeté Gargravarr.
«Non saprei, ammiraglio. Ci siamo contati alla base di Frazfraga, ma da allora abbiamo combattuto su Hunian e su Santraginus. Abbiamo avuto perdite e nuovi arruolati. Per non parlare degli ausiliari di Sirio, che in caduta libera si riproducono per gemmazione. Chi può dire quanti siamo, adesso?».
L’umano corrugò la fronte. «Non potreste moltiplicare l’equipaggio medio di una vostra astronave per il numero totale dei vascelli?».
«Un ufficiale della Quinta Flotta può tutto!» sbraitò Gargravar, piccato. Poi piegò il lungo collo squamato. «Bastablon? Quante navi abbiamo?».
«Non saprei, ammiraglio. Sono cicli che non riusciamo a completare un censimento».
«Tante navi!» tagliò corto Gargravarr. «Tutte dotate di Emettitori Xantici, Torpedini Neutroniche, Disintegra-effrattori e Gigantosiluri Multipolarizzati! Abbastanza per spazzar via la Flotta dell’Alleanza!».
«Non riuscite a dirmi quanti siete né quante navi avete» ricapitolò il terrestre. «Sapete almeno che materiale vi occorre? Carburante? Ossigeno? Metalli?».
«Nel saccheggio ogni guerriero prende ciò che serve!» replicò sprezzantemente Gargravarr. «Pazienza se per farlo rade al suolo una civiltà!».
L’umano appuntò sullo smartphone. «Mi sembra che confondiate il bottino con la gestione delle scorte. Rischiate che le vostre navi rimangano a secco in pieno Spazio».
«In effetti, è la principale causa di perdita di vascelli nella flotta» borbottò Bastablon, imbarazzato.
Gargravarr batté i lunghi arti coperti d’onori militari. «Signor Bastablon! La smetta di cianciare con questo sotto-essere! Stiamo ritardando il Sacro Rito!».
«Ammiraglio, le osservazioni del bipede sono interessanti. Forse…».
«Stiamo facendo aspettare il nostro campione! Frantumasvol il Sadico potrebbe offendersi!».
Uno schianto confermò le preoccupazioni dell’ammiraglio. Il terrestre e i due alieni videro che il mostro aveva squarciato la grata metallica che delimitava l’arena. Il colorito di Gargravarr divenne verde pisello.
L’ultimo anello d’acciaio cedette. La bestia, libera, si erse sulle zampe posteriori e caricò. Gargravarr balzò di lato, sventando per un soffio l’impalamento.
«Per Zarquon!» strillò. «Lo fermi, signor Bastablon!».
«Basta così, Frantumasvol!» gridò l’altro. «Nel nome dell’Impero e…».
Il mostro ruggì/barrì copiosamente. Poi ghermì l’ammiraglio con una chela, lo sollevò a testa in giù e prese a sgranocchiargli gli stivali in pelle di foca-drago di Argabuthon.
«Dove kraken sono le guardie?» ululò Gargravarr.
«In agitazione sindacale, ammiraglio. Sembra che ci sia stato un problema con gli emolumenti dell’ultimo mega-ciclo».
«Faccia qualcosa!» strepitò Gargravarr, mentre il mostro passava a rosicchiargli le ginocchia.
Bastablon estrasse con riluttanza un goglattore neuro-crionico. «Purtroppo l’armeria non ha consegnato le cariche narcotizzanti a causa d’un errore contabile».
«USI QUEL KRAKEN DI PISTOLA!».
Bastablon obbedì. Dal goglattore scaturì un lampo. L’ammiraglio e il mostro si congelarono in una fascinosa composizione azzurrina.
Il primo ufficiale assunse un’espressione abbattuta. «Ora, per sbrinare l’ammiraglio, dovrò scoprire su quale nave i cefalopodi della logistica hanno ficcato il microwave atomico».
Il terrestre tossicchiò. «Si sente bene?».
Bastablon scosse le due teste. «All’Accademia non si parla mai di quanto è complicato mandare avanti una flotta. C’insegnano a configurare gondole iperluce, a maneggiare torpedini… Ma nessun cadetto viene preparato ad affrontare le rogne vere».
Il terrestre fece per interloquire. Bastablon lo ignorò, come se da troppo tempo covasse il malumore.
«La gestione del personale, per esempio. Sui manuali sembra uno scherzo. Poi scopri che gli astrogatori Rigeliani hanno bisogno di un’atmosfera al 2% di elio, ma che in presenza di quel gas i priapoidi di Vega vanno in calore e tentano di accoppiarsi con ogni creatura che gli viene a tiro… E che le truppe Denebiane combattono solo nei giorni consentiti dal culto del Grande Chaparca, che però non coincidono con le festività teogoniche dei coscritti di Altair. Pianificare il calendario di una campagna militare è più difficile che vincerla! E non parliamo dei balzelli imperiali: la tassazione del bottino è di una complessità devastante. Nelle ultime battaglie, metà degli ufficiali non ha potuto combattere perché impegnata a compilare moduli fiscali. Meno male che le truppe di Jajazikstak sono scappate alle prime cannonate».
«Se posso permettermi…» azzardò il terrestre.
Bastablon si scosse. «Che kraken vuoi, bipede?».
«Il problema è che perdete troppo tempo in questioni che non fanno parte del vostro core business, cioè la guerra. Le attività che lei chiama “le rogne vere”… dovreste esternalizzarle».
Il primo ufficiale strinse gli occhi. Tutti e trentadue. «Cioè?».
«Le spiego…».
…
«Mi hanno liberato prima dell’alba. Il loro “raggio-trattore” mi ha depositato in quella che mi sembrava steppa russa, in realtà i dintorni della Collatina. Ed eccomi qui».
Il legale fischiò tra i denti. Aveva un paio di baffi spioventi e radi capelli che battevano in ritirata verso il colletto della camicia. «Storia incredibile, ingegnere! Venire rapito dagli ET… Com’è riuscito a mantenere la calma?».
L’altro ridacchiò. «Quando uno ha condotto progetti informatici nella pubblica amministrazione italiana, dopo c’è ben poco che possa spaventarlo».
Tornò serio. «Allora? Quest’accordo?».
L’avvocato inforcò le lenti bifocali. S’immerse nel documento.
«Se capisco bene, ingegnere, noi prendiamo in carico il loro sistema gestionale, procedure fiscali comprese. In cambio otteniamo l’esclusiva della distribuzione dei prodotti extraterrestri sul nostro pianeta».
L’altro annuì. «Diritti commerciali su beni e servizi da tutto l’Impero Galattico. Solo coi simulto-traduttori faremo miliardi».
Il legale fischiò di nuovo. «Fantastico. Però…».
«Cosa la preoccupa?».
«Così aiutiamo i tipi dell’Impero. Che succede se gli altri ET, quelli dell’Alleanza, vengono a chiederne conto? Forse era meglio mantenersi neutrali».
L’altro sorrise. «I nostri amici alieni sono bellicosi, ne convengo. Però, da ciò che ho visto, gran parte dell’aggressività gli deriva dalla frustrazione, dallo stress che regna a bordo delle astronavi. Quando faremo funzionare le loro procedure interne, si calmeranno. E poi, sondando Bastablon, ho capito che su Jajazikstak c’è un disastro anche peggiore. Se mai incapperemo in ambasciatori dell’Alleanza… Offriremo supporto professionale anche a loro. Chissà che, risolvendo i problemi di entrambi i contendenti, non li spingiamo alla pace».
Il viso del legale s’illuminò. «In questo caso, potremo chiedere un compenso molto maggiore».
L’altro rise di gusto. «Lo metta a verbale, avvocato».
Così fu fatto.