Lo spazio è un ambiente impervio, difficile, “lontano” anche quando si tratta della Stazione Spaziale Internazionale. Eppure è a soli 400 chilometri di distanza dalla Terra, come la distanza tra Roma-Bologna. 400 chilometri però molto più difficili da percorrere. Ed è difficile intuirlo. Quando vedi un razzo partire per lo spazio lo immagini che vada dritto e invece no segue, salendo, la curvatura terrestre, fino ad uscire dall’atmosfera terrestre, superare i 100 km di Karman e proseguire la sua corsa fino all’orbita prevista, dove si stabilizza in una caduta continua a 28.000 km di velocità ed inizia le manovre per agganciarsi alla Stazione Spaziale Internazionale.

La fantascienza, che molto spesso anticipa la scienza, ci pone, come naturali, situazioni impossibili o comunque scientificamente improbabili. È corretto che sia così: è intrattenimento. Ci sembra naturale, nello scorrere le immagini di Star Wars, qualsiasi sia la puntata di questa splendida saga, che tutti gli esseri viventi, umanoidi o altro, respirino la stessa aria. Che tutti i pianeti abbiano la stessa atmosfera della Terra, come anche la stessa gravità e che quindi tutti si muovano normalmente. Abbiano la stessa temperatura o, comunque, adatta alla vita umana anche quando il pianeta non è altro che un immenso vulcano dove scorre solo lava, roccia fusa. Non sapendo, non si ha la percezione di come quello che si vede sia in realtà impossibile. Lo scrive uno che prima di lavorare in questo settore, quello dell’astrofisica e delle attività spaziali, da buon laureato in lettere godeva degli episodi di Star Wars riconoscendo la fantascienza nei viaggi tra mondi, l’esistenza di alieni, la tecnologia delle astronavi. C’è un’altra fantascienza che non appare, che dipende dalla non conoscenza.

Quando un artista, gli artisti si cimentano con questa realtà, mostrano una capacità di coniugare i due mondi che è loro propria, che il lettore, come in questo caso, non può che apprezzare, vivendo un’avventura di pura fantasia scientifica inserita in un contesto di realtà scientifica. E chi meglio di Nathan Never, un uomo del futuro ancorato ad una realtà che nel suo tempo non c’è più. Un tecnosauro perché ama i libri leggerli stampati, la musica ascoltarla col vinile (ricordo bene?) apprezzare l’antico non come rifugio nel passato, ma come traccia dell’evoluzione.

Nella trama di Nathan Never e la Stazione Spaziale Internazionale, volume realizzato da Bepi Vigna e Diego Giardo per la Bonelli e promosso dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea, l’agente Nathan Never ha un fortuito balzo nel passato, mentre testa un propulsore del futuro. Incontra il Capitano Parmitano, a bordo della Iss ed è lui e il suo equipaggio che chiedono a Luca e ai suoi di aiutarli a tornare nel loro tempo.

Una storia dai colori tenui e pastello nel futuro, vivaci nel tempo presente, il passato di Nathan Nevere e i suoi. Colori vivaci che caratterizzano in quale tempo la storia raccoglie maggiore energia, in un ping pong tra presente e futuro, che ha nel rispetto della scienza, anche quando se ne lambisce il non plausibile, la cornice ideale.

Nathan Never e la Stazione Spaziale Internazionale è da ieri in edicola nel suo formato standard, dopo essere uscito in libreria nel suo formato gigante. L’occasione per leggere, qualora non aveste avuto occasione prima, un’opera d’arte come solo la Bonelli e i suoi eroi sanno regalarci.

Buona lettura