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Si trova nella Fascia Principale degli asteroidi, ha un diametro medio di circa 525 chilometri e ha una superficie accidentata in cui sono presenti anche dei profondi canali: sono questi i tratti salienti dell’asteroide Vesta, scoperto nel 1807 da Heinrich Wilhelm Olbers e al centro di un nuovo studio pubblicato su The Planetary Science Journal.

La ricerca, condotta da un team di scienziati statunitensi, ha coinvolto anche il Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa ed è stata mirata a indagare le origini dei canali di Vesta. L’asteroide, un colosso nel suo genere, è stato esplorato dalla sonda Dawn della Nasa, cui l’Italia ha dato un importante contributo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Lo studio prospetta una nuova ipotesi sulla formazione di questi solchi: a scavarli non sarebbe stato lo scorrimento di detriti rocciosi, ma improvvisi e brevi flussi d’acqua connessi ad impatti di meteoroidi e altri detriti. Questi ‘zampilli’, inoltre, avrebbero lasciato dietro di sé una serie depositi sedimentari. Si tratta – spiegano gli scienziati – di un processo geologico meno consueto che ha richiesto delle attività di laboratorio per riprodurre il quadro ambientale di Vesta, un corpo celeste privo di atmosfera ed esposto alle condizioni estreme dello spazio: la loro indagine, quindi, ha cercato di chiarire l’effettiva composizione del liquido e la durata del suo flusso prima del congelamento.

Il gruppo di lavoro ha utilizzato una camera ambientale situata presso il Jpl della Nasa: Dustie (Dirty Under-vacuum Simulation Testbed for Icy Environments), in cui sono state ricreate le condizioni di Vesta subito dopo l’impatto con un meteoroide. L’esperimento ha evidenziato che l’acqua pura, esposta al vuoto dello spazio, si congela immediatamente mentre i fluidi salati possono essere in grado di resistere per almeno un’ora: in questo modo essi avrebbero continuato a scorrere, scavando i canali. Secondo i calcoli degli studiosi, mezz’ora di flusso potrebbe essere stata sufficiente a ‘lasciare il segno’ su Vesta.

I test sono stati condotti con salamoie di pochi centimetri di profondità e i risultati hanno portato gli esperti a concludere che, sull’asteroide, flussi più profondi avrebbero impiegato un tempo maggiore per congelarsi. Inoltre, sono stati ricreati in laboratorio anche i ‘coperchi’ di materiale ghiacciato che si formano sulle salamoie e stabilizzano il liquido, proteggendolo dal vuoto dello spazio e quindi permettendogli di scorrere a lungo. Questo fenomeno appare simile a quanto avviene talvolta sulla Terra con la lava, ovvero quando i flussi di massa magmatica si muovono all’interno dei tunnel definiti ‘tubi di lava’ più lontano rispetto a quando sono esposti a temperature superficiali fredde.

Gli studiosi ritengono che la loro indagine aggiunga un tassello importante nell’impiego di attività di laboratorio per analizzare il comportamento dei liquidi su varie tipologie di corpo celeste.

In alto: l’asteroide Vesta fotografato dalla sonda Dawn nel 2012 (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Ucla/Mps/Dlr/Ida) 

In basso: la camera ambientale Dustie presso il Jpl della Nasa (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech)