Manca ormai solo poco più di un lustro allo smantellamento della Stazione Spaziale Internazionale, il laboratorio in orbita terrestre nato dalla collaborazione di 15 differenti nazioni. Con i primi moduli messi in orbita nel 1998 e un assemblaggio concluso nel 2011, la fine della Iss prevista nel 2030 segnerà la conclusione di un’era fondamentale per la nostra conquista dello spazio, aprendo così uno scenario radicalmente diverso a cui si affacceranno le nuove generazioni di astronauti. 

Andrea Patassa – Capitano dell’Aeronautica Militare Italiana e astronauta di riserva di Esa
«Da quando ero piccolo, da quando seguo lo spazio, la Stazione Spaziale Internazionale è sempre stata lì. Sapere che tra qualche anno non ci sarà più ovviamente fa effetto, ma quello che verrà dopo comunque sarà altrettanto eccitante. Ci sarà una partnership molto stretta con il settore commerciale, permetterà di incrementare il numero di stazioni, il numero di persone che andranno nello spazio e la quantità di scienze e di esperimenti che si potranno fare. Ma soprattutto, oltre all’orbita bassa, a quel punto, ci sarà anche l’orbita lunare da “colonizzare” e la superficie della Luna sulla quale lavorare e fare esperimenti».

Con la fine della Iss, laboratorio orbitante unico nel suo genere, perderemo l’avamposto internazionale che, grazie al suo ambiente senza peso, ha fornito al mondo della ricerca la possibilità di svolgere attività scientifica ed esperimenti in microgravità con una continuità di oltre due decenni.

Anthea Comellini – Ingegnera aerospaziale e astronauta di riserva di Esa
«La cosa fondamentale è che continuiamo a costruire su quello che abbiamo imparato durante questi 20 anni di utilizzo della Stazione Spaziale Internazionale e quindi che continuiamo a effettuare ricerca e scienza in microgravità, perché questa condizione è una condizione che difficilmente riusciamo a replicare sulla Terra e che ci permette di vedere dei fenomeni da un altro punto di vista, che ci permette di fare grandi scoperte che poi noi possiamo riportare sulla Terra per migliorare la vita dell’umanità intera. Quindi finché la ricerca in microgravità avrà questo impatto positivo sulla società, noi dobbiamo continuare a farlo, è un nostro dovere».

Eppure, in questa che ormai è  l’ultima fase della Iss, già ora si stanno moltiplicando le missioni in orbita a cui i nuovi astronauti possono partecipare, non solo tramite le agenzie pubbliche ma anche spinti dall’esplosione di quella che si chiama economia dell’orbita bassa.

Luca Parmitano – Astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)
«Oggi un astronauta che entra nel mondo del volo spaziale umano ha un largo ventaglio di possibilità: da missioni di breve durata in orbita di poche settimane per missioni molto specialistiche, anche per astronauti privati, a missioni di lunga durata sulla Stazione Spaziale Internazionale e poi quelle che verranno; perché oggi sono in fase di costruzione e di studio nuove stazioni spaziali di aziende private che permetteranno di continuare a fare scienza ed esplorazione in orbita bassa terrestre».

La nuova era delle stazioni spaziali private verrà inaugurata dall’industria statunitense: nei prossimi anni l’azienda Axiom aggancerà alla Iss due moduli abitativi, di cui il primo nel 2026. In seguito questi si staccheranno per andare a comporre l’Axiom Station, la prima stazione spaziale commerciale della storia.
Con l’orbita bassa consegnata ai privati, la prossima frontiera per le agenzie spaziali può così spostarsi oltre, verso la conquista dell’orbita e del suolo lunare, sotto il faro del programma della Nasa Artemis. Grazie all’expertise e alla credibilità acquisita nella realizzazione della Iss, l’Italia, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana è un partner chiave del progetto.

Luca Parmitano – Astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)
«Qui in Italia siamo all’avanguardia per le strutture aerospaziali. La Stazione Spaziale Internazionale è stata costruita al 40% dei moduli abitativi qui in Italia, nelle industrie di Torino, Thales Alenia. In questo momento sta costruendo due dei moduli abitativi del Gateway, la futura stazione spaziale orbitante intorno alla Luna, programma multinazionale in cui l’Italia fa parte. Per cui direi che continuiamo a essere presenti nello spazio e a essere un partner importante con delle industrie che tutto il mondo ci invidia».

Tra i tanti contributi italiani ad Artemis, la realizzazione del primo modulo abitativo di superficie lunare, il Multi Purpose Habitation Module, frutto di una collaborazione tra l’ASI e la NASA, e il futuro Centro di Simulazione e Controllo Missioni Robotiche Lunari dell’Agenzia Spaziale Italiana che avrà sede presso Altec a Torino

Vincenzo Giorgio – Amministratore Delegato di Altec
«Qui gestiamo tutte le attività che gli astronauti compiono in orbita e controlliamo che i parametri significativi dei moduli che sono su e che compongono l’ambiente all’interno del quale gli astronauti lavorano siano corretti e nel caso di problemi interveniamo attraverso i nostri collegamenti col centro di Houston. Contrariamente all’orbita bassa, quando si parla di esplorazione planetaria – si comincia con Luna, si continua con Marte – quello che facciamo qua è imparare: imparare come si fanno le operazioni su un terreno diverso da quello terrestre, che cosa c’è bisogno per supportare le attività in loco, siano esse robotiche oppure umane, e quindi capire che tipo di servizio e che tipo di supporto va fornito a coloro che operano sui pianeti. Con tutte le diversità del caso: la Luna è molto vicina quindi non ci sono problemi di latenze di segnali, Marte è già più lontano e quindi bisogna convivere col fatto che i segnali impiegano fino a 20 minuti per arrivare e quindi per ritornare. Se dovessimo traguardare degli obiettivi più lontani, sto pensando ad asteroidi o altri satelliti dei pianeti del Sistema Solare, evidentemente questo problema si ingigantisce. Noi quello che stiamo facendo è costruire tutti i building blocks di quello che servirà per supportare queste operazioni».

Uno dei terreni diversi su cui le future missioni opereranno sarà sicuramente la superficie lunare. Qui torneremo, dopo oltre 50 anni di assenza, nel 2026 grazie alla terza missione del programma Artemis. Scopo a lungo termine del programma lunare è quello di stabilire una permanenza continuativa sulla Luna, dovendo quindi risolvere nuove grandi sfide per sostenere i futuri coloni.

Anthea Comellini – ingegnera aerospaziale e astronauta di riserva di Esa
«È necessario creare una sorta di economia lunare e farlo in maniera sostenibile. Cosa vuol dire? Vuol dire che noi non ci possiamo portare tutto da casa quando andiamo verso delle destinazioni così lontane e quindi dobbiamo innanzitutto imparare a massimizzare le poche risorse che ci stiamo portando, istituendo un’economia circolare, ma poi anche imparare a usare quelle che troveremo nella nostra destinazione; che può voler dire ad esempio sulla Luna utilizzare la regolite per produrre ossigeno che poi può essere respirato, può essere utilizzato come propellente per i razzi per tornare, oppure utilizzare la regolite per stampare in 3D vari utensili o anche dei mattoni per riparare le case degli astronauti dalle radiazioni.
Quindi quello che noi vogliamo imparare andando sulla Luna adesso è veramente quello di sostenere la vita degli esseri umani in una destinazione così lontana; e quindi poi tutto quello che impareremo da un lato potrà essere riportato sulla Terra perché appunto tutto ciò che riguarda riciclo e utilizzo di forme di energia che siano molto efficienti, efficaci, è importantissimo anche per la vita su terra, ma poi ci permetterà di allontanare sempre di più il limite di questa frontiera dell’esplorazione».

Spingere i voli umani sempre più oltre nello spazio e puntare a una nuova conquista della Luna significherà quindi garantire un maggiore ritorno in termini di conoscenza e applicazioni qui sulla Terra. La nuova era spaziale sarà così la via extraterrestre per migliorare la nostra esistenza su questo pianeta.