Alternanza di siccità e piogge eccezionali. È la ricetta che identifica sempre più gli effetti del cambiamento climatico anche sui nostri territori. In altre parole, l’estremizzazione del clima. Dopo un 2022 da record, anno più caldo di sempre per l’Italia e il secondo per l’Europa secondo i dati del programma Copernicus dell’Unione Europea, anche il 2023 sembrava ripetere lo stesso scenario, portando il fiume Po e il lago di Garda ai loro minimi storici. Una crisi idrica prolungata solamente allentata dalle piogge eccezionali cadute negli ultimi due mesi, come spiega Luca Brocca, dirigente di ricerca dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (Irpi) del Cnr.

«Tra maggio e giugno sono cadute quantità di pioggia eccezionali. Sono stati i maggio e giugno più piovosi che si sono verificati negli ultimi 70 anni con valori superiori al 20% o 30% su scala nazionale. In zone del Paese come il sud queste differenze arrivano fino anche a un maggiore del 50% delle massime rilevate. Se non ci fossero stati questi maggio e giugno così eccezionali, sicuramente la situazione del 2023 sarebbe stata dal punto di vista delle risorse idriche molto grave. Quello che va tenuto conto è però che, se questa è la situazione delle acque superficiali, la situazione delle falde va monitorata con attenzione perché in alcune zone del Paese abbiamo ancora un deficit di precipitazioni. Quindi le falde si stanno caricando ma partiamo da punti di deficit molto importanti che richiedono più di un anno di precipitazioni per essere risanate».

Quello della siccità rappresenta, infatti, un fenomeno complesso e a diversi livelli e per questo studiato dalla ricerca scientifica sempre più attraverso uno sguardo interdisciplinare e multidisciplinare.

«In ambito scientifico distinguiamo diversi tipi di siccità: esiste una siccità metereologica che è precipitazioni sotto la media; esiste una siccità idrologica che è il livello dei corsi d’acqua e dei fiumi sotto la media; una siccità agricola che è la quantità di acqua nel suolo, ma esiste poi anche una siccità socioeconomica che nasce dal fatto che il ciclo dell’acqua non è più naturale: a seconda di quanta noi ne utilizziamo andremo o meno in condizioni di siccità».

Lo sguardo dallo spazio è oggi una pedina fondamentale per monitorare le riserve idriche terrestri superficiali, compresa l’umidità del suolo, un fattore chiave misurato per esempio dai sensori specializzati delle missioni Smap di Nasa e Smos di Esa.

«Possiamo monitorare dallo spazio ormai le diverse componenti del ciclo dell’acqua. Siamo ormai in grado di misurare sia le precipitazioni, sia le coperture di neve, sia l’umidità del suolo che è una variabile piccola rispetto all’acqua che abbiamo nei fiumi, nei laghi o nei mari. Però è fondamentale per capire se precipitazioni intense possono o meno generare esondazioni o dall’altro lato capire se avremo acqua per l’agricoltura o meno e quindi andare a pianificare la possibilità di irrigazione o di gestione delle risorse idriche in ambito agricolo. Quello che potevamo fare fino a 4 o 5 anni fa era monitorare variabili come precipitazioni, neve, umidità del suolo a una risoluzione di 20 o 25 km, quello che invece si può fare adesso è lo sviluppo di prodotti con la risoluzione di un km e quindi quando scendiamo a queste scale e a queste risoluzioni cominciamo ad avere osservazioni che sono fondamentali per prendere le decisioni».

La frontiera delle prossime missioni satellitari finalizzate allo studio del ciclo dell’acqua terrestre, come la partnerhip tra Esa e Nasa dal nome Magic, è un monitoraggio tanto precisione quanto in profondità, indagando fino alle falde acquifere.

«La grande domanda se la siccità c’è ancora o non c’è in Italia: la risposta è probabilmente no per le acque superficiali ma per le acque sotterranee non lo sappiamo. Perché non lo sappiamo? Perché spesso ci mancano le osservazioni che permettono di caratterizzare tale risorsa in maniera precisa e accurata sia nello spazio che nel tempo. E su questo sia l’Esa sia la Nasa stanno lavorando per una coppia di missioni che permetterà di andare a monitorare questa variabile alle scale spaziali che servono per chiudere il ciclo dell’acqua e per avere una comprensione di quello che accade su tutte le varie componenti. L’Asi sta lavorando in stretta collaborazione con l’Esa per capire meglio quale sarà il valore aggiunto di questa nuova missione e quale sarà il contributo e fino dove ci potremo spingere, e ovviamente quali sono i limiti».

Unire i dati raccolti alla modellazione avanzata permette, invece, di intravedere gli scenari futuri per le risorse idriche, come quanto realizzato dal progetto DTE Hydrolgy di Esa guidato da Luca Brocca. 

«Le osservazioni satellitari da sole non permettono di creare degli scenari e quindi quello che abbiamo fatto all’interno di questo progetto è quello di integrare le osservazioni satellitari di ultima generazione ad alta risoluzione con modellazione avanzata. Quello che noi abbiamo fatto è quello di andare a sviluppare un prototipo di un modello digitale della Terra legato al ciclo dell’acqua. È una modellazione che permette di fare previsioni sulla quantità di acqua nei fiumi, quindi la portata dei fiumi, e anche le inondazioni. Abbiamo sviluppato una piattaforma che è aperta e permette di creare degli scenari legati alla siccità, alla previsione di rischio di piena e legati alla gestione delle risorse idriche».

Così il monitoraggio preciso, accurato e ad alta risoluzione diventa sempre più la base per una nuova gestione dell’acqua, come dimostra il progetto Irrigation+ di Esa finalizzata alla mappatura dell’irrigazione e alla quantificazione del relativo consumo di acqua.

«All’oggi siamo in grado di misurare questa quantità di acqua che utilizziamo; è l’agricoltura intelligente, che in molte altre parti del mondo viene fatta, come ad esempio l’Australia.

Sapendo quanta acqua c’è nel suolo siamo in grado di andare a irrigare quando serve. Attraverso queste osservazioni satellitari siamo in grado di fare questo e siamo anche in grado di farlo alla scala di campo; infatti, sempre più stanno nascendo aziende che vengono appunto vendute ai consorzi degli agricoltori o agli agricoltori stessi per andare a ottimizzare la quantità di acqua utilizzata per l’irrigazione. Questo permette, da un lato, che la produzione si ottimizzata, dall’altro, di risparmiare l’acqua, e in molte parti del pianeta in cui l’acqua si paga profumatamente in agricoltura questo è un notevole vantaggio».

La risposta alla siccità si basa dunque su due concetti chiave: il risparmio delle risorse idriche e la sostenibilità dei consumi, obiettivi raggiungibili anche grazie al monitoraggio dallo spazio del ciclo dell’acqua e del suo sfruttamento.

«Le risorse idriche non sono infinite e sono limitate e soprattutto la quantità di acqua che utilizziamo spesso per i nostri scopi, la prendiamo a una velocità che è molto maggiore di quella con cui le falde si ricaricano. Capire quanto noi stiamo utilizzando l’acqua in modo sostenibile o meno è uno dei grandi problemi tecnici e scientifici degli ultimi anni, Soprattutto con queste proiezioni climatiche che ci dicono che in molte aree del pianeta, soprattutto quelle più popolose, andremo ad affrontare sempre più problemi di scarsità idrica. È necessario che conosciamo tutte le varie componenti».