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La regolite, la fine miscela di granelli di roccia e polveri che copre la superficie di quasi tutti i corpi rocciosi del Sistema Solare, complica e rende più rischiosi i prossimi sbarchi umani sulla Luna e su Marte.
Il problema della regolite era noto già ai tempi del Programma Apollo: durante l’atterraggio il motore del Lem ne sollevava una nuvola sufficiente a creare problemi già a circa trenta metri di altezza, peggiorando man mano che si scendeva e arrivando persino a impedire agli astronauti di vedere con chiarezza il suolo lunare su cui stavano per poggiarsi.

Negli atterraggi previsti per il prossimo futuro i piloti avranno molti più strumenti a disposizione per garantire un touchdown sicuro, rispetto ai tempi delle missioni Apollo, ma il problema della regolite resta.
Per la discesa, ad esempio, è prevista una serie di telecamere di navigazione che inquadreranno verso il basso per agevolare le manovre di atterraggio e c’è il rischio che la nuvola di polvere sollevata dagli scarichi dei motori le metta fuori uso, posandosi sopra le lenti fino a oscurarle. Anche in caso di copertura parziale, la situazione diventerebbe pericolosa e l’incolumità del modulo di atterraggio e degli astronauti stessi potrebbe pagarne le conseguenze. Per gli atterraggi su Marte sarebbe ancora peggio della Luna, perché i venti presenti sul pianeta già sollevano grandi quantità di polvere a prescindere dai getti dei motori.

Per aggirare questo potenziale problema ‘ottico’, un gruppo di scienziati dell’Università dell’Illinois ‘Urbana-Champaign’ ha pensato di usare la tecnologia radar, realizzando un nuovo apparecchio chiamato Rifle (Radar Interferometry for Landing Ejecta), che si prospetta come un’ottimo strumento da avere in dotazione. Come spiegato nello studio che riporta le sperimentazioni, questo il macchinario genera fasci di onde elettromagnetiche con una lunghezza di 3,8 millimetri e poi misura il tempo che questi fasci impiegano a tornare dopo aver rimbalzato sulle particelle di regolite in sospensione.
Il concetto di base è semplice: lavorando sulla differenza tra la velocità della luce nel vuoto e quella rallentata dall’interazione con particelle di materia, si può ricavare la concentrazione di polvere presente.
Il Rifle, essendo leggero e di modeste dimensioni, potrebbe essere attaccato alle gambe del modulo di atterraggio, o lasciato cadere durante la discesa, per raccogliere dati utili molto prima del contatto con il suolo.
Oltre a rendere gli atterraggi meno pericolosi, il suo utilizzo faciliterebbe il pilota nella scelta del punto esatto dove atterrare.

Gli esperimenti sono stati fatti all’interno di una camera a vuoto per simulare l’ambiente spaziale, usando delle microparticelle vetrose al posto della regolite. I risultati sono incoraggianti e i costi di realizzazione notevolmente inferiori rispetto ad apparecchiature utilizzate finora con finalità simili.
«Per misurazioni di questo genere esistono anche altri strumenti – ha spiegato Nicolas Rasmont, studente del Dipartimento d’Ingegneria Aerospaziale e ideatore del Rifle – ma il nostro funziona anche con nuvole di polvere ad alta densità particellare, che impedisce l’uso di strumenti ottici, o con polveri molti fini, non rilevabili con le tecniche multifase come la risonanza magnetica Mri o i raggi X. Ed è anche in grado di effettuare varie migliaia di scansioni al secondo».

La ricerca e le sperimentazioni sono state finanziate dalla Nasa, che naturalmente ha come scopo principale la ricerca di metodi per garantire sicurezza e facilità durante gli atterraggi e la permanenza su altri corpi celesti, ma questo strumento può essere adottato anche in altri campi, tutti quelli dove è presente un qualsiasi tipo di polvere e dove è utile conoscerne la concentrazione, a partire dall’industria.
Per quanto riguarda l’assistenza negli atterraggi, sono allo studio anche altre soluzioni e metodi, da usare anche in maniera combinata, come ad esempio Nova-c.

Foto in alto: Gene Cernan, Apollo 17, fotografato nel Lem poco dopo essere rientrato dall’attività extraveicolare sulla superficie lunare. La tuta è particolarmente sporca di regolite, che resta attaccata con estrema facilità perché particolarmente fine. Oltre a ridurre la riflerittanza della tuta, incidendo sul sistema termico, l’inalazione può generare problemi all’apparato respiratorio
Foto nel testo: Il ricercatore Nicolas Rasmont mentre assembla il ‘Rifle’ in laboratorio

Crediti: Nasa, University of Illinois Urbana-Champaign