È noto che nemmeno la luce può sfuggire all’immensa gravità dei buchi neri. Oggi sappiamo che la luce polarizzata nei raggi X permette di mappare con precisione le linee del campo magnetico di questi divoratori cosmici e di osservare cosa accade nelle regioni più interne che li circondano. Al centro di un nuovo studio della Nasa, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, vi è una delle strutture più importanti: la corona, di cui sono state finalmente svelate la forma e la natura.
I buchi neri sono spesso circondati da dischi di accrescimento, veri e propri vortici di gas e detriti, che possono generare potenti getti relativistici, cioè esplosioni di materia scagliata nello spazio a velocità elevatissime. Meno noto è il fatto che molti buchi neri possiedono, proprio come il Sole e altre stelle, una regione di plasma surriscaldato, chiamato corona.
La missione Ixpe (Imaging X-ray Polarimetry Explorer), frutto della collaborazione tra Nasa e Agenzia spaziale italiana, ha permesso ai ricercatori di ottenere dati senza precedenti su questa struttura.
«Lo studio della geometria del gas caldo in prossimità dei buchi neri è uno degli obiettivi scientifici primari di Ixpe», ha spiegato Andrea Marinucci, ricercatore Asi e Program Manager della missione Ixpe. «Questa regione chiamata corona, ha un’estensione di qualche chilometro per i buchi neri di taglia stellare fino a milioni di chilometri per quelli supermassicci e da qui proviene la maggior parte dei raggi X emessi da queste sorgenti».
Mentre la corona del Sole raggiunge temperature di circa un milione di gradi Celsius, si stima che quella dei buchi neri arrivi anche a miliardi di gradi. Finora, erano state identificate le corone nei buchi neri di massa stellare – quelli formati dal collasso di una stella – e nei buchi neri supermassicci come quello al centro della nostra galassia. Ma di queste corone, la geometria e l’estensione erano state solamente ipotizzate.
Era evidente che questa regione di plasma fosse legata al disco di accrescimento e ai getti relativistici; meno chiare erano invece la sua configurazione e il comportamento attorno a un buco nero. A svelare questo mistero ci ha pensato Ixpe, un osservatorio specializzato nello studio della polarizzazione dei raggi X, ovvero una proprietà della luce che permette di mappare la forma e la struttura delle fonti di energia più potenti dell’universo. Grazie alle misurazioni ottenute proprio tramite la polarizzazione, è stato possibile osservare per la prima volta la forma della corona di un buco nero e la sua relazione con il disco di accrescimento. La scoperta chiave? La corona non ha la forma di un ‘lampione’ sospeso sopra il disco, ma si estende lungo la direzione di quest’ultimo.
Il team di ricerca ha analizzato i dati delle osservazioni di Ixpe, che ha puntato gli occhi su 12 buchi neri di diverse ‘taglie’, tra cui alcuni dei più noti come Cygnus X-1 e Cygnus X-3, sistemi binari di buchi neri di massa stellare a migliaia di anni luce dalla Terra, così come buchi neri supermassicci distanti milioni di anni luce. I buchi neri di massa stellare, che hanno una massa compresa tra 10 e 30 volte quella del Sole, si ‘nutrono’ strappando materiale dalle stelle compagne. I buchi neri supermassicci, invece, inghiottono tutto ciò che li circonda, come gas, polveri e persino intere stelle.
Nonostante queste enormi differenze di scala, il meccanismo di accrescimento sembra funzionare allo stesso modo: la geometria del disco risulta infatti molto simile in entrambe le tipologie. È un dato sorprendente, dato che gli ‘spuntini’ di questi giganti cosmici sono completamente diversi, e supporta – seppur in modo preliminare – l’idea che i buchi neri stellari e i cugini più massicci, molto più distanti e difficili da osservare, condividano una geometria coronale comune. Quest’ultimo è un aspetto importante e potenzialmente in grado fornire ulteriori indizi sulle proprietà dei buchi neri supermassicci.
«I risultati recentemente pubblicati mostrano chiari indizi verso una struttura del gas distribuita radialmente sopra il disco di accrescimento, dimostrando ancora una volta l’importanza della polarimetria X in questo campo di ricerca» ha concluso Marinucci.
In apertura: illustrazione del materiale che circonda un buco nero; in evidenza la corona che brilla in modo particolare nella luce dei raggi X. Crediti: Nasa/Caltech-Ipac/Robert Hurt