Le abbiamo viste tutti, le immagini delle due “ciambelle” arancioni che hanno confermato la teoria abbozzata da Einstein sull’esistenza dei buchi neri.
Questa impresa di imaging, che ha portato a un grandioso risultato scientifico, ha richiesto la collaborazione di astronomi da tutto il mondo per coordinare otto osservatori così da assemblare una rete globale di radiotelescopi chiamata Event Horizon Telescope (Eht).
Puntando gli occhi sulla galassia M87 e sulla nostra Via Lattea, questo “telescopio virtuale” – grande quanto la Terra – ci ha permesso già dal 2019 di osservare da vicino l’aspetto dei buchi neri, o meglio una regione centrale chiamata ombra, attorno alla quale spicca una struttura brillante a forma di anello. Struttura che però appariva sfocata, poiché ai limiti assoluti della nitidezza che si poteva ottenere nelle immagini, acquisite rilevando onde radio a 230 GHz.
Ora, con tanta pazienza e progressi tecnologici tali da migliorare la sensibilità dell’Eht, è stato possibile utilizzare con successo la tecnica VLBI (interferometria a lunghissima base) – già impiegata per ottenere le immagini dei due buchi neri – questa volta rilevando la luce proveniente dai centri di galassie lontane a una frequenza di 345 GHz, equivalente a una lunghezza d’onda di 0,87 mm.
Si tratta della risoluzione più alta mai raggiunta avvalendosi solo di telescopi sulla superficie terrestre, ottenuta espandendo la gamma di frequenze e osservando la luce a una lunghezza d’onda più corta. Le nuove osservazioni sono state pubblicate su The Astronomical Journal.
Invece di utilizzare l’intera rete Eht, sono stati impiegati per questo esperimento due sottoinsiemi più piccoli, entrambi comprendenti Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e Apex (Atacama Pathfinder Experiment) nel deserto di Atacama, in Cile. L’Eso (Osservatorio europeo australe) è un partner di Alma e co-gestisce Apex. Altre strutture utilizzate includono il telescopio Iram da 30 metri in Spagna e il Noema (NOrthern Extended Millimeter Array) in Francia, così come il Greenland Telescope e il Submillimeter Array alle Hawaii.
Non è stato immediato compiere questo passo in avanti, soprattutto a causa di turbolenze atmosferiche sempre più pronunciate e dell’accumulo di rumore a lunghezze d’onda più corte, combinati con l’incapacità di controllare le condizioni meteorologiche. Ma con sistemi ad alta larghezza di banda che elaborano e catturano ampie porzioni dello spettro radio, la Collaborazione è riuscita a raggiungere una risoluzione senza precedenti.
Tuttavia, sebbene le nuove rilevazioni abbiano permesso di captare in modo robusto la luce proveniente da diverse galassie lontane, non sono state utilizzate abbastanza antenne per poter ricostruire accuratamente un’immagine dai dati raccolti.
«A 345 GHz, le nostre immagini saranno più nitide e dettagliate, il che probabilmente rivelerà nuove proprietà, sia quelle precedentemente previste che forse alcune non ancora immaginate», dice Alexander Raymond, coautore dello studio e ora al Jet Propulsion Laboratory della Nasa.
Queste rilevazioni a 0,87 mm, ottenute con un dettaglio fine fino a 19 microarcosecondi, aprono una nuova finestra di osservazione per lo studio dei buchi neri supermassicci. C’è il potenziale per osservare buchi neri più distanti, più piccoli e più deboli rispetto ai due che la collaborazione ha finora immortalato.
«L’osservazione riuscita dell’Eht a 345 GHz è una pietra miliare scientifica significativa», ha dichiarato Lisa Kewley, direttrice del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian (CfA) e dello Smithsonian Astrophysical Observatory (Sao). «Spingendo i limiti della risoluzione, stiamo raggiungendo una nitidezza senza precedenti nell’imaging dei buchi neri, come avevamo promesso all’inizio, e fissando nuovi e più elevati standard per la capacità della ricerca astrofisica da terra».
In apertura: la posizione di alcuni osservatori radio in tutto il pianeta, che hanno partecipato all’esperimento condotto dalla collaborazione Event Horizon Telescope, che ha ottenuto le osservazioni a più alta risoluzione dalla superficie terrestre. In alto a destra, una galassia lontana che invia segnali radio fino alla Terra. Crediti: Eso/M. Kornmesser