Catturata la prima istantanea di un buco nero. La scoperta è stata effettuata da una rete di otto radiotelescopi che opera su scala mondiale e prende il nome di Event Horizon (Eht), un progetto appositamente creato per ottenere le immagini di un buco nero. La foto è stata diffusa durante una serie di conferenze stampa che si sono svolte nella giornata odierna, in contemporanea in tutto il mondo. Protagonista dello scatto, il buco nero al centro di Messier 87, un’enorme galassia situata nel vicino ammasso della Vergine. Il buco nero ha una massa pari a 6,5 miliardi e mezzo di volte quella del Sole e dista 55 milioni di anni luce dalla Terra.
«Moltissimi dei fenomeni dell’astrofisica spaziale si riferiscono ad emissioni nelle alte energie, raggi X e gamma, dove il ruolo dell’accrescimento di materia su oggetti compatti, stelle di neutroni e soprattutto buchi neri, è cruciale nel produrre l’emissione osservata – commenta Barbara Negri, responsabile dell’Unità Osservazione dell’Universo dell’Asi – fino ad oggi, l’evidenza di queste configurazioni estremamente dense di materia era indiretta e basata su interpretazioni teoriche di risultati sperimentali. Oggi, per la prima volta, è stata ottenuta un’immagine di un buco nero. Guardando al futuro, è ipotizzabile pensare che la messa in orbita di grandi radio telescopi aumenterà la base di osservazione, permettendo di ottenere immagini assai più dettagliate».
L’Eht collega gli otto radiotelescopi dislocati in diverse parti del pianeta, dando vita a un telescopio virtuale di dimensioni pari a quelle della Terra: uno strumento con una sensibilità e una risoluzione senza precedenti. L’Eht è il risultato di anni di collaborazione internazionale e offre agli scienziati un nuovo modo di studiare gli oggetti più estremi dell’universo previsti dalla teoria della relatività generale di Einstein, proprio nell’anno del centenario dell’esperimento storico che per primo ha confermato questa teoria.
«Quello che stiamo facendo è dare all’umanità la possibilità di vedere per la prima volta un buco nero – una sorta di ‘uscita a senso unico’ dal nostro universo – spiega il direttore del progetto Eht Sheperd S. Doeleman del Center for Astrophysics presso la Harvard University. Questa è una pietra miliare nell’astronomia, un’impresa scientifica senza precedenti compiuta da un team di oltre 200 ricercatori».
I buchi neri sono oggetti estremamente compatti nei quali una quantità incredibile di massa è compressa all’interno di una piccola regione. La presenza di questi oggetti influenza l’ambiente che li circonda in modo estremo, distorcendo lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale intorno.
«Se immerso in una regione luminosa, come un disco di gas incandescente, ci aspettiamo che un buco nero crei una regione scura simile a un’ombra, un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein che non abbiamo mai potuto osservare direttamente prima – aggiunge il presidente dell’Eht Science Council Heino Falcke della Radboud University, nei Paesi Bassi – Quest’ombra, causata dalla curvatura gravitazionale e dal fatto che la luce viene trattenuta dall’orizzonte degli eventi, rivela molto sulla natura di questi affascinanti oggetti e ci ha permesso di misurare l’enorme massa del buco nero di M87».
Vari metodi di calibrazione e di imaging hanno rivelato una struttura ad anello con una regione centrale scura – l’ombra del buco nero – risultato che ritorna nelle molteplici osservazioni indipendenti fatte dall’Eht.
Le osservazioni dell’Eht sono state possibili grazie alla tecnica nota come Very-Long-Baseline Interferometry (Vlbi) che sincronizza le strutture dei telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per andare a creare un enorme telescopio di dimensioni pari a quelle della Terra, in grado di osservare ad una lunghezza d’onda di 1,3 mm. La tecnica Vlbi permette all’Eht di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro secondi d’arco. Un livello di dettaglio tale da permetterci di leggere una pagina di giornale a New York comodamente da un caffè sul marciapiede di Parigi.
I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono stati Alma, Apex, il telescopio Iram da 30 metri, il telescopio James Clerk Maxwell, il telescopio Alfonso Serrano, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. L’enorme quantità di dati grezzi – misurabile in petabyte, ovvero milioni di gigabyte – ottenuta dai telescopi è stata poi ricombinata da supercomputer altamente specializzati ospitati dal Max Planck Institute for Radio Astronomy e dal Mit Haystack Observatory.
La costruzione dell’Eht e le osservazioni annunciate oggi rappresentano il culmine di decenni di lavoro osservativo, tecnico e teorico. Un esempio di lavoro di squadra globale che ha richiesto una stretta collaborazione da parte di ricercatori di tutto il mondo. Tredici istituzioni partner hanno lavorato insieme per creare l’Eht, utilizzando sia le infrastrutture preesistenti che il supporto di diverse agenzie. I principali finanziamenti sono stati forniti dalla US National Science Foundation (Nsf), dal Consiglio europeo della ricerca dell’Ue (Erc e da agenzie di finanziamento in Asia orientale).
L’Inaf può vantare un importante coinvolgimento nella rivoluzionaria osservazione come parte del progetto Europeo BlackHoleCam, di cui lo stesso Ciriaco Goddi è il Project Scientist. Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – Ira Bologna sono due ricercatrici del nodo italiano dell’Alma Regional Centre, uno dei sette che compongono la rete europea che fornisce supporto tecnico-scientifico agli utenti di Alma, e che è ospitato proprio presso la sede dell’Inaf di Bologna. Nel 2018 entrambe sono entrate a far parte del progetto Bhc, finanziato dall’Erc come partner del progetto Eht, e fanno a tutti gli effetti parte dell’Event Horizon Telescope Consortium, in cui sono membri dei gruppi di lavoro che si occupano di calibrazione e imaging.
«La calibrazione dei dati Eht è stata una grande sfida: i segnali astronomici sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell’atmosfera, che varia molto velocemente a queste frequenze – sottolinea Liuzzo, che insieme a Rygl ha partecipato allo sviluppo di uno dei tre software usati per la calibrazione dei dati Eht».
Pur operando come un unico strumento che abbraccia il globo l’Eht, infatti, rimane una miscela di stazioni con design e operazioni diverse. Questo ed altri fattori, insieme alle sfide associate alla Vlbi, hanno dato impulso allo sviluppo di tecniche specializzate di elaborazione e calibrazione. «Tre diversi gruppi di ricerca, ognuno dei quali ha utilizzato un diverso software di calibrazione, hanno convalidato in modo incrociato questi dati e hanno trovato risultati coerenti – specifica Rygl aggiungendo che è estremamente gratificante vedere come i dati calibrati possano essere tradotti in fisica dei buchi neri».
«Il progetto Black Hole Cam è partito nel 2014 con l’obiettivo di misurare, comprendere e ‘vedere’ i buchi neri e fare test sulle principali previsioni della teoria della relatività generale di Einstein – aggiunge Ciriaco Goddi- nel 2016 il progetto è entrato a far parte, insieme ad altri partner internazionali, dell’Event Horizon Telescope Consortium visto il comune obiettivo: ottenere la prima immagine di un buco nero».Un risultato incredibile, che prometta di essere un punto non di arrivo, ma di partenza nella strada per la comprensione del nostro Universo.