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Mari calmi di metano con una leggera corrente di marea.  È la caratteristica del paesaggio oceanico di Titano, la più grande luna di Saturno e la seconda del Sistema Solare, svelata per la prima volta dalla sonda Cassini.
La scoperta arriva dalle osservazioni radar bistatiche della missione Nasa, Esa e Asi, che vede il forte contributo italiano, effettuate dalla sonda durante i passaggi ravvicinati a Titano realizzati prima che la sonda precipitasse su Saturno nel 2017.

Una nuova ricerca ha analizzato i dati ottenuti da questi esperimenti bistatici scoprendo la composizione e l’attività del mare di Titano, un oceano liquido di idrocarburi che si trova vicino al polo nord della luna di Saturno.
Lo studio pubblicato su Nature Communications svela così caratteristiche mai apparse nelle osservazioni dei mari di Titano precedenti a quelle della sonda Cassini, gettando le basi per future indagini sulle lune oceaniche del Sistema Solare.

La nuova ricerca è frutto di una collaborazione internazionale guidata da studiosi della Cornell University, tra cui il primo autore Valerio Poggiali, e dell’Università di Bologna, tra questi Paolo Tortora, componente del consiglio tecnico–scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana.

«Il metano ricopre per Titano un ruolo simile a quello che l’acqua svolge sulla Terra, ed è protagonista di un complesso ciclo ‘idrologico’ con precipitazioni, laghi e grandi mari interconnessi da canali, estuari e fiumi – afferma Paolo Tortora, professore al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna, già membro del Team di Radio Scienza della missione Cassini e coautore del lavoro – Con questo studio, grazie a una serie di esperimenti di radar bistatico realizzati dalla sonda Cassini, siamo riusciti ad ottenere nuove informazioni per i tanti interrogativi ancora senza risposta sui mari di Titano».

La missione Cassini ha esplorato il sistema di Saturno per tredici anni, dal 2004 al 2017, raccogliendo una grandissima quantità di dati su Titano. Tra le tante rilevazioni realizzate, la sonda di Nasa, Esa e Asi ha effettuato anche tredici esperimenti di radar bistatico. Questi consistono nel puntare un fascio radio dalla navicella spaziale verso il suo bersaglio – in questo caso Titano – dove viene riflesso verso l’antenna ricevente sulla Terra.

I potenti echi degli esperimenti bistatici sono stati riflessi dalla superficie di tre mari di Titano, chiamati Kraken, Ligeia e Punga Mare. I segnali sono quindi arrivati alle grandi antenne di Terra del Deep Space Network della Nasa.
Non tornando direttamente alla sonda, come invece succede con le osservazioni radar monostatiche, gli esperimenti bistatici forniscono così informazioni raccolte da due prospettive indipendenti.

«La differenza principale è che le informazioni bistatiche costituiscono un insieme di dati più completo e sono sensibili sia alla composizione della superficie riflettente sia alla sua rugosità – afferma Valerio Poggiali, primo autore e ricercatore del Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science (Ccaps) – L’analisi ha rilevato differenze nella composizione degli strati superficiali dei mari di idrocarburi, che dipendono dalla latitudine e dalla posizione (ad esempio, vicino a fiumi ed estuari)».

I dati del radar bistatico analizzati dal team d ricercatori sono stati raccolti da Cassini durante quattro sorvoli: quelli del 17 maggio, 18 giugno e 24 ottobre 2014, e poi di nuovo il 14 novembre 2016. Per ognuno di questi set di dati, i riflessi della superficie di Titano sono stati osservati mentre Cassini si avvicinava alla luna e poi di nuovo mentre si allontanava.

«Abbiamo anche indicazioni che i fiumi che alimentano i mari sono metano puro finché non sfociano nei mari liquidi aperti, che sono più ricchi di etano – ha aggiunto Poggiali – È come sulla Terra quando i fiumi di acqua dolce confluiscono e si mescolano con l’acqua salata degli oceani».

Il team è ora impegnato in un ulteriore lavoro sui dati generati da Cassini durante i 13 anni di esame di Titano. «C’è una miniera di dati che attende ancora di essere analizzata in modo completo per fare altre scoperte – conclude Poggiali – Questo è solo il primo passo».