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Gli astronauti che in futuro arriveranno su Marte perderebbero completamente la funzionalità renale al loro ritorno sulla Terra a causa dell’esposizione prolungata all’ambiente spaziale. Lo suggerisce un nuovo studio guidato dall’University College London pubblicato su Nature Communications.

La ricerca è la più ampia analisi della salute dei reni durante il volo spaziale mai realizzata e include il primo set di dati sulla salute degli astronauti di missioni commerciali.

Arrivare su Marte e fare ritorno alla Terra sarà nel futuro una delle sfide tecnologiche più ardue per le missioni con equipaggio destinate allo spazio profondo; ma, affianco all’impresa esplorativa, vi è un altro grande problema per gli astronauti che saranno destinati al pianeta rosso: gli enormi rischi per la loro salute a causa dell’esposizione fortemente prolungata alle radiazioni cosmiche e alla microgravità. Un viaggio di andata e ritorno verso Marte durerebbe, infatti, complessivamente almeno 2 anni e mezzo.

Sappiamo da tempo che i voli spaziali che oltrepassano il campo magnetico terrestre, lo scudo che ci protegge – completamente sulla Terra e in parte in orbita terrestre – dalle radiazioni cosmiche, causano problemi quali la perdita di massa ossea, l’indebolimento del cuore e della vista ma anche lo sviluppo di calcoli renali. Eppure, fino a oggi, non abbiamo un riscontro concreto di quali siano le conseguenze reali sul nostro corpo di eventuali esposizioni prolungate all’ambiente cosmico. Finora, infatti, gli unici uomini che hanno valicato il confine del campo magnetico terrestre sono quelli degli equipaggi delle missioni Apollo destinate alla Luna. Questi astronauti, tuttavia, sono stati esposti all’ambiente radioattivo al massimo per 12 giorni. Un intervallo di tempo troppo limitato rispetto ai circa 900 giorni necessari per arrivare su Marte e tornare indietro.

Ora, con il fine di studiare la risposta dei reni a voli spaziali molto prolungati, un vasto team internazionale ha condotto una serie di esperimenti e analisi utilizzando dati e campioni provenienti da 20 coorti di studio di oltre 40 missioni spaziali in orbita terrestre bassa, la maggior parte delle quali sulla Stazione Spaziale Internazionale.

I dati sono stati ottenuti da indagini effettuate su uomini e ratti, comprese 11 simulazioni spaziali con topi e ratti. Sette di queste simulazioni prevedevano l’esposizione di topi a dosi di radiazioni cosmiche galattiche simulate, come se fossero ospiti di missioni marziane con una dura di di 1,5 e 2,5 anni, imitando così il volo spaziale oltre il campo magnetico terrestre.

Lo studio mostra che, dopo meno di un mese di esposizione, i reni sia umani che animali cominciano a subire alterazioni a causa delle condizioni spaziali, iniziando così a sviluppare calcoli renali. Secondo i ricercatori la causa potrebbe essere la combinazione dell’esposizione alla microgravità e alle radiazioni cosmiche; un’ipotesi che necessita però di ulteriori indagini per essere confermata.

In precedenza si era ipotizzato che la ragione principale per cui si sviluppano i calcoli renali durante le missioni spaziali fosse dovuta esclusivamente alla perdita di tessuto osseo, indotta dalla microgravità, che porta a un accumulo di calcio nelle urine.

Il riscontro più preoccupante ottenuto dalla ricerca è emerso dalla simulazione di viaggi prolungati a cui sono stati sottoposti i ratti. L’esposizione alle radiazioni cosmiche durante la simulazione di un viaggio di 2,5 anni in ambiente spaziale, ha causato danni permanenti e la perdita di funzionalità ai loro reni: il tempo necessario a raggiungere Marte per tornare indietro.

«Non è possibile proteggerli dalle radiazioni galattiche con una schermatura, ma man mano che impariamo a conoscere meglio la biologia renale potrebbe essere possibile sviluppare misure tecnologiche o farmaceutiche per facilitare i viaggi spaziali prolungati» ha detto il primo autore della ricerca Stephen B. Walsh.

 

Immagine in evidenza: raffigurazione artistica di astronauti e habitat umani su Marte. Crediti: Nasa