C’è un cuore sul suolo di Plutone. Lo sappiamo dal 2015, quando la missione New Horizons di Nasa ha sorvolato il pianeta nano svelando con le sue telecamere una struttura superficiale con questa particolare forma. Da allora gli scienziati si sono interrogati sull’origine di questa sagoma unica, nota anche come Tombaugh Regio.
Composta da due due lobi distinti, quello occidentale si chiama Sputnik Planitia, un’area equivalente a un quarto dell’Europa. Nonostante gli scienziati abbiano immaginato che questa regione possa essere di origine impattante, i nostri modelli non sono riusciti a spiegare spiegato la sua peculiare sagoma a goccia, almeno fino a oggi.
Ora, 9 anni dopo la scoperta del cuore, un team internazionale di scienziati, guidati dell’Università di Berna, ha svelato che la forma a goccia della Sputnik Planitia è la conseguenza di un gigantesco e lento impatto di un corpo planetario schiantatosi contro Plutone con un angolo obliquo. Un oggetto di circa 700 km di diametro che avrebbe urtato il pianeta nano non tramite una collisione diretta e frontale bensì un ‘lento’ spappolamento trasversale.
La ricerca, pubblicata su Nature Astronomy, suggerisce inoltre che la struttura interna di Plutone è diversa da quella ipotizzata in precedenza, indicando cioè l’assenza di un oceano sotterraneo come, al contrario, pensato finora.
Grazie a dettagliate simulazioni numeriche, il team di ricercatori è riuscito, per la prima volta, a riprodurre con successo l’insolita forma a goccia di una delle due metà che costituiscono il cuore sul suolo di Plutone. La ricostruzione fedele è stata ottenuta variando sia la composizione del pianeta nano e del suo impattatore, sia la velocità e l’angolo di quest’ultimo.
Gli scienziati hanno potuto così stabilire che la collisione è avvenuta con un angolo obliquo e con una velocità relativamente bassa, determinando, inoltre, la composizione dell’impattatore.
«Il nucleo di Plutone è così freddo che le rocce sono rimaste molto dure e non si sono sciolte nonostante il calore dell’impatto, e grazie all’angolo di impatto e alla bassa velocità, il nucleo dell’impattatore non è affondato nel nucleo di Plutone, ma è rimasto intatto come una macchia su di esso», spiega Harry Ballantyne dell’Università di Berna, autore principale dello studio.
Il particolare impatto sarebbe avvenuto nella fase iniziale della storia di Plutone. La depressione gigante della Sputnik Planitia così generata, con un’altitudine inferiore di tre o quattro chilometri rispetto alla maggior parte della superficie di Plutone, avrebbe quindi dovuto spostarsi, nel corso del tempo, lentamente verso il polo del pianeta nano per il suo deficit di massa.
Uno spostamento che in verità non è avvenuto, lasciando Sputnik Planitia nella regione equatoriale. I ricercatori sono riusciti a spiegare ora questo fenomeno senza ricorrere all’ipotesi di un oceano sotterraneo nel sottosuolo di Plutone come precedente teorizzato.
«Nelle nostre simulazioni, tutto il mantello primordiale di Plutone viene scavato dall’impatto e, quando il materiale del nucleo dell’impattatore si riversa sul nucleo di Plutone, si crea un eccesso di massa locale che può spiegare la migrazione verso l’equatore senza un oceano sottosuperficiale, o al massimo uno molto sottile», afferma Erik Asphaug, coautore dello studio.
La ricerca ha gettato così una nuova luce sulla struttura interna di Plutone.
Immagine in evidenza: lo scatto di Plutone della missione New Horizons di Nasa che svela il cuore della Tombaugh Regio sulla superficie del pianeta nano. Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute/Alex Parker