Sono un’insidiosa minaccia per le società digitali di oggi e il loro comportamento presenta ancora degli aspetti da indagare: sono le tempeste solari, ovvero perturbazioni temporanee della magnetosfera terrestre provocate dall’attività del Sole. Queste manifestazioni della nostra stella sono all’origine di fenomeni suggestivi come le aurore polari, ma anche di problemi che possono colpire i sistemi di comunicazione, i satelliti e le reti elettriche. Proprio per questo aspetto critico le tempeste solari sono al centro dell’attenzione degli studiosi che cercano di capirne i meccanismi, indagando anche le tracce di episodi estremi del passato come l’evento Carrington, risalente al 1859, e gli eventi Miyake verificatisi migliaia di anni fa.

L’impatto a livello locale di queste perturbazioni e le misure da adottare per monitorare a fondo la loro azione sul campo magnetico terrestre sono al centro di un recente studio di Scientific Reports (articolo: “Large regional variability in geomagnetic storm effects in the auroral zone”); l’indagine, condotta anche su dati storici, è stata svolta da un gruppo di ricercatori di due istituzioni finlandesi, l’Osservatorio Geofisico Sodankylä e l’Università di Oulu.

Il gruppo di lavoro, in particolare, si è concentrato sui dati raccolti nel dicembre 1977 durante una forte tempesta solare che aveva interessato le regioni aurorali nelle giornate tra il 10 e il 12 dicembre. Le informazioni erano state raccolte dalle 32 stazioni che costituivano lo Scandinavian Magnetometer Array, una rete di magnetometri all’epoca attiva nel nord della Scandinavia; questo network era più fitto rispetto a quello attuale e il suo database, quando gli autori dello studio vi hanno messo mano, risultava ancora in buona parte da esplorare.

L’analisi di questi dati storici è stata piuttosto laboriosa: all’epoca, infatti, le fluttuazioni nel campo magnetico terrestre venivano registrate su pellicola da 35 millimetri. Circa 40 chilometri di pellicola non erano stati mai esaminati e la loro digitalizzazione ha richiesto una complessa procedura. Il confronto tra i dati del 1977 e quelli attuali ha messo chiaramente in rilievo le variazioni nell’intensità delle tempeste solari da regione a regione. Questo aspetto, che sinora non è stato molto approfondito, è ritenuto molto importante dagli studiosi perché evidenzia la necessità di una rete di magnetometri molto più capillare; l’attuale rete nelle zone aurorali è caratterizzata da maglie troppo larghe, con gli strumenti di rilevazione collocati a intervalli che oscillano tra 200 e 400 chilometri. Secondo gli scienziati, i magnetometri dovrebbero essere collocati a intervalli di 100 chilometri: in questo modo, sarebbe più facile cogliere i segnali delle tempeste solari e mettere in atto azioni preventive, progettate in maniera personalizzata a seconda della zona. Lo studio sarà presentato il prossimo mese di dicembre al convegno autunnale 2023 dell’American Geophysical Union.

In alto: un’aurora polare vista dalla Stazione Spaziale Internazionale. Foto scattata dall’astronauta Esa Alexander Gerst (Crediti Esa).