Studiata per la prima volta una stella morta nel cuore di un vero e proprio cimitero stellare. Una ‘autopsia cosmica’ che potrà fornire indizi sul destino finale del nostro Sistema Solare.
L’indagine ha visto come protagonista la stella nana bianca al centro della nebulosa planetaria di Messier 37, un ammasso aperto di stelle a circa 4.500 anni luce dalla Terra.

L’ingrandimento dell’immagine dell’ammasso stellare mostra la debole stella centrale (contrassegnata da un cerchio verde). L’immagine è stata ripresa per oltre 3,5 giorni dall’astronomo dilettante Peter Goodhew, coautore dello studio. Crediti: Peter Goodhew.

Sia la nana bianca, indicata nell’immagine a sinistra con un cerchio verde, sia la nebulosa planetaria che la ospita, riconoscibile dalla particolare forma a farfalla, sono ciò che resta di una stella massiccia simile al Sole dopo la sua morte. Ecco perché il loro studio aumenta la comprensione di ciò che accadrà alla nostra stella tra 5 miliardi di anni.

Una volta esaurito il suo carburante, il Sole diventerà una gigante rossa inghiottendo i pianeti interni, compresa la Terra. Dopo aver disperso il suo guscio stellare esterno, la nostra stella si trasformerà quindi in una nebulosa planetaria, ovvero un involucro incandescente di gas ionizzato in espansione, mentre il suo nucleo si evolverà in una nana bianca, ossia una stella debole in via di estinzione.
Tuttavia, sull’ultima fase dell’evoluzione stellare abbiamo ancora molte incertezze, essendo per noi molto difficile conoscere la quantità di massa che viene persa e con quale velocità.

L’indagine sui resti stellari al centro di Messier 37, uno degli appena tre ammassi stellari aperti a noi noti contenente una nebulosa planetaria, è per questo motivo di grande valore. La relativa vicinanza dell’ammasso ha permesso, infatti, a un team di ricercatori dell’Università di Tubinga di effettuare quella che è la prima indagine di una nana bianca sepolta tra i resti della sua stella originaria.

Grazie alle osservazioni tramite il Gran Telescopio Canarias, uno dei più grandi telescopi del pianeta situato sull’isola di La Palma, i ricercatori sono riusciti a determinare la perdita di massa della stella madre prima di diventare una nana bianca.
La ricerca è pubblicata su Astronomy & Astrophysics.

Dallo studio dell’emissione luminosa della nana bianca, il team ha determinato che questa ha attualmente circa l’85% della massa del Sole. Per lasciare questo resto stellare, secondo i ricercatori, la stella madre avrebbe avuto in origine una massa equivalente a 2,8 volte quella del Sole. L’indagine ha così permesso di stimare la diminuzione di massa subìta dalla stella progenitrice per diventare ora la nana bianca al centro di Messier 37. Questa avrebbe perso circa il 70% di materia durante il suo ciclo vitale.

«Stelle come il nostro Sole perdono poco meno della metà della loro massa quando si evolvono in nane bianche. Le stelle con una massa otto volte superiore a quella del Sole perdono circa l’80% della loro massa», afferma Klaus Werner dell’Istituto di Astronomia e Astrofisica dell’Università di Tubinga e primo autore dello studio.

La ricerca è inoltre fondamentale in quanto fornisce nuovi dati sulla relazione massa iniziale-massa finale di una stella, ossia il rapporto tra la massa alla sua nascita e la massa al momento della loro morte. Questo rapporto è un parametro fondamentale in astronomia per capire quanto vivrà una stella e se sarà destinata a evolversi in una nana bianca, in una stella di neutroni o, eventualmente, in un buco nero. La relazione massa iniziale-massa finale può anche aiutare a determinare se una stella in punto di morte innescherà una supernova, ossia l’esplosione cosmica tramite cui tutto il materiale che una stella ha formato durante la sua vita si diffonde nell’universo, trasformandolo così nei mattoni che costruiranno una nuova generazione di stelle.

Immagine in evidenza: Immagine della nebulosa planetaria nell’ammasso stellare aperto Messier 37. L’ammasso contiene diverse centinaia di stelle. La nebulosa a forma di farfalla è visibile grazie al gas idrogeno rosso luminoso. Crediti: K. Werner et al.