L’assenza di gravità terrestre rende lo spazio un ambiente nemico delle nostre ossa. Durante le missioni in orbita terrestre, la riduzione del carico meccanico dovuta alla microgravità, infatti, causa negli astronauti una perdita ossea che corre 12 volte più veloce che sulla Terra.
Questa accelerazione, dall’altro lato, rende la Stazione Spaziale Internazionale un laboratorio ottimale per sperimentare nuove soluzioni al problema. Dai test sui topi effettuati in orbita, giunge ora la conferma che un nuovo composto ingegnerizzato potrebbe rivelarsi promettente nel prevenire la perdita di tessuto osseo nello spazio.

Lo studio, pubblicato su npj Microgravity, è un fondamentale passo in avanti per la salute degli astronauti, dato il maggior rischio di fratture corso a cui sono esposti durante lunghe missioni spaziali e nelle fasi successive della vita. Allo stesso modo, potrebbe rivelarsi rilevante per individuare nuove terapie da somministrare a chi sulla terra soffre di patologie degenerative muscolo-scheletriche.

Partendo da una molecola già nota per le sue capacità di sviluppo e mantenimento della densità ossea, ossia la Nell-like molecule-1 (Nell-1), un team interdisciplinare dell’Università della California di Los Angeles (Ucla) e del Forsyth Institute di Cambridge ha ingegnerizzato un composto più efficace. Di Nell-1 è stato, infatti, migliorato il potenziale terapeutico ed esteso l’emivita, ossia il tempo necessario per osservare la riduzione del 50% delle concentrazioni della molecola nel sangue, passando così da 5,5 ore a 15,5 ore. La nuova molecola ottenuta è risultata, quindi, più potente e più a lungo presente nel flusso sanguigno. La molecola così modificata è stata poi ampiamente valutata sulla Terra, confermandone un’azione specifica superiore a quella di Dell-1 per il tessuto osseo e la mancanza di effetti avversi osservabili dopo la sua somministrazione.

Il team è potuto, quindi, passare nel 2017 alle sperimentazioni direttamente nello spazio, portando a bordo della Iss il materiale necessario tramite la missione CRS-11 di SpaceX e addestrando gli astronauti Nasa Peggy Whitson e Jack D. Fisher per condurre gli studi sul laboratorio orbitante.

I test hanno visto complessivamente tre gruppi di topi a cui è stata somministrata la nuova molecola.
Il primo gruppo è stato esposto alla microgravità per nove settimane, simulando così un viaggio spaziale di lunga durata. Il secondo gruppo è rientrato a Terra dopo 4,5 settimane. Mentre il terzo gruppo è rimasto sempre al Kennedy Space Center, in Florida.
Rispetto ai gruppi di controllo, tutti i topi a cui è stato somministrata la molecola, sia quelli in volo che quelli a terra, hanno mostrato un aumento significativo della formazione ossea. Senza alcun effetto negativo sulla loro salute.

Se futuri studi sull’uomo dovessero confermare questi riscontri, la nuova molecola, chiamata Bp-Nell-Peg, potrebbe essere uno strumento promettente per combattere la perdita di massa ossea e il deterioramento muscolo-scheletrico. Risulterebbe quindi una strategia a cui affidarsi soprattutto quando, durante le missioni spaziali, l’allenamento di resistenza convenzionale contro la perdita ossea non sarebbe fattibile a causa di infortuni o altri fattori invalidanti.

Fino a oggi, infatti, sulla Iss la strategia di mitigazione della perdita ossea a causa della microgravità si è basata su una particolare palestra spaziale: il carico meccanico indotto dall’esercizio fisico, infatti, riesce a promuovere la formazione ossea e a fronteggiare così la perdita scheletrica dovuta all’ambiente spaziale.

 

Immagine in evidenza: Samantha Cristoforetti effettua esercizi fisici sulla Stazione Spaziale Internazionale utili anche per il contrasto alla perdita ossea che nello spazio è più veloce che sulla Terra. Crediti: Esa/Asi