Si chiama anemia spaziale ed è una delle conseguenze sul corpo umano dovute alle lunghe permanenze nello spazio.
Questa condizione consiste in una perdita di globuli rossi ed è inevitabile per gli astronauti che si trovano in orbita: in assenza della gravità terrestre, i liquidi corporei tendono, infatti, a migrare verso la parte superiore del corpo; uno spostamento coatto che investe anche il sangue, portando così gli astronauti nello spazio a una condizione di anemia temporanea.

Nel 2022, uno studio della University of Ottawa e dell’Ottawa Hospital Research Institute ha scoperto, in realtà, che il calo di globuli rossi non sarebbe momentaneo e dovuto allo spostamento dei fluidi, bensì un effetto primario persistente dell’esposizione a un’ambiente in microgravità.

Monitorando i livelli sanguigni di 14 astronauti durante e dopo le loro missioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), lo studio ha riscontrato una riduzione di globuli rossi più forte del 54% rispetto a quanto accade normalmente sulla Terra.

Un dato preoccupante per la salute degli astronauti e per la loro capacità di operare anche una volta atterrati a destinazione. Tornati sulla Terra o atterrati in futuro su altri pianeti o lune con gravità, l’anemia influenza l’energia, la resistenza e la forza del corpo umano, risultando così una minaccia concreta per gli obiettivi della missione.

Ora, un anno e mezzo dopo, lo stesso team di ricerca ha scoperto che la risposta alla perdita ossea e di globuli rossi subita in ambiente spaziale potrebbe arrivare dal grasso del midollo osseo.

«Abbiamo scoperto che gli astronauti avevano una quantità di grasso significativamente inferiore nel midollo osseo circa un mese dopo il ritorno sulla Terra – afferma l’autore principale dello studio, Guy Trudel – Pensiamo che il corpo stia usando questo grasso per aiutare a sostituire i globuli rossi e a ricostruire le ossa perse durante il viaggio nello spazio».

Analizzando tramite risonanza magnetica il midollo osseo degli astronauti, lo studio ha riscontrato nei 41 giorni successivi al rientro una significativa diminuzione, ossia del 4,2%, del grasso del midollo osseo. Il suo livello si è mostrato, tuttavia, solo temporaneamente in calo per poi gradualmente tornare alle condizioni normali.

Secondo il team, questa diminuzione passeggera osservata dopo il ritorno sulla Terra sarebbe strettamente associata a una maggiore produzione di globuli rossi e al ripristino delle ossa.

«Poiché i globuli rossi vengono prodotti nel midollo osseo e le cellule ossee circondano il midollo osseo, è logico che l’organismo utilizzi il grasso locale del midollo osseo come fonte di energia per alimentare la produzione di globuli rossi e di ossa», afferma Guy Trudel.

Secondo la ricerca sarebbero gli astronauti più giovani ad avere una maggiore capacità di sfruttare l’energia del grasso del midollo osseo per risolvere la condizione di anemia spaziale. Contemporaneamente si è riscontrato che il grasso del midollo osseo nelle donne astronaute è aumentato più del previsto dopo un anno, rispetto a quanto accaduto negli uomini.

Lo studio, pubblicato su Nature Comminucations, offre così spunti fondamentali per comprendere meglio come poter risolvere la condizione di anemia sia per i pazienti terrestri sia per chi la subisce a seguito di viaggi spaziali.
La ricerca fa parte di Marrow, un esperimento finanziato dall’Agenzia spaziale canadese che studia la salute del midollo osseo e la produzione di sangue nello spazio.

 

Immagine in evidenza: l’astronauta Thomas Pesquet inserisce i campioni di sangue per Marrow nel congelatore del laboratorio a meno ottanta gradi a bordo della Iss. Crediti: Nasa