Un mondo gelido, remoto e ancora in parte misterioso, che sinora ha ricevuto solo la breve ‘visita’ della sonda Voyager 2 della Nasa il 24 gennaio del 1986: si tratta di Urano, il settimo pianeta del Sistema Solare, che torna sotto i riflettori per uno studio relativo alle caratteristiche delle sue lune Ariel e Miranda.

La ricerca, presentata recentemente alla 54° Lunar & Planetary Science Conference, è stata coordinata dal Laboratorio di Fisica Applicata dell’Università Johns Hopkins ed è stata accettata per la pubblicazione su Geophysical Research Letters. Il lavoro si basa sia su modelli informatici, sia – e soprattutto – sui dati d’archivio di Voyager 2 che, a distanza di oltre 37 anni dal sorvolo di Urano, hanno svelato nuovi dettagli sul suo entourage di satelliti naturali.

Gli scienziati hanno analizzato a fondo i dati magnetici e quelli relativi all’irraggiamento solare raccolti dalla storica sonda Nasa nel sistema del pianeta ghiacciato e hanno riscontrato alcune anomalie; dal loro esame il team ha ipotizzato che Ariel e Miranda, appartenenti al gruppo delle ‘lune maggiori’ tra le 27 che accompagnano Urano, potrebbero ospitare degli oceani sotto la loro superficie.

Le due lune, secondo gli autori dello studio, avrebbero emesso delle particelle di plasma nello spazio e Voyager 2 è riuscita a coglierle mentre si stava allontanando da Urano. Il processo alla base di questo fenomeno non è ancora chiaro; tuttavia, considerando che situazioni simili sono state riscontrate per Europa ed Encelado (lune oceaniche, rispettivamente, di Giove e di Saturno), i ricercatori pensano che tali emissioni siano riconducibili ad oceani sub-superficiali anche per Ariel e Miranda.

Lo strumento di Voyager 2 che ha raccolto questi dati è Lecp (Low Energy Charged Particle); da essi, inoltre, emerge che le particelle risultano diffuse in un’area ristretta, vicina all’equatore magnetico di Urano. Secondo gli studiosi, si tratta di un’anomalia: infatti, le onde magnetiche del sistema dovrebbero far sparpagliare le particelle, anziché farle riunire in una regione specifica che, oltre ad essere nei pressi dell’equatore magnetico, è situata tra Ariel e Miranda. Il gruppo di lavoro ritiene che le particelle siano state emesse o sotto forma di pennacchio, simile a quelli della luna Encelado, oppure in conseguenza dell’urto di corpuscoli altamente energetici con una superficie.

Questa scoperta, secondo gli studiosi, rafforza la convinzione della necessità di una missione esplorativa dedicata proprio a Urano: questa esigenza era stata già evidenziata lo scorso anno nel Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey 2023-2032, documento predisposto da un comitato di scienziati guidato dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti.

In alto: Urano e le sue lune (Crediti: Nasa/Johns Hopkins Apl/Mike Yakovlev) – L’immagine nelle dimensioni originali qui