Incremento della popolazione, espansione delle attività economiche nelle zone rivierasche e necessità di spazio per vari tipi di infrastrutture – da quelle abitative a quelle industriali: sono questi i fattori-chiave alla base di un fenomeno divenuto particolarmente evidente nel XXI secolo: il ‘recupero di terra’ (land reclamation), ovvero la creazione di nuove superfici emerse di fronte a grandi città costiere.
Queste opere di ingegneria civile sono al centro di un nuovo studio di Earth’s Science, rivista dell’American Geophysical Union dedicata a ricerche sullo stato di salute del nostro pianeta (articolo: “Mapping 21st Century Global Coastal Land Reclamation”). L’indagine, coordinata dalla Scuola di Geografia e Scienze Ambientali dell’Università di Southampton, si è basata su dati satellitari del programma Landsat; gestito congiuntamente dalla Nasa e dalla Usgs (United States Geological Survey), Landsat ha preso il via con il suo primo satellite il 23 luglio 1972 ed è tuttora in corso con due satelliti attivi, l’8 e il 9.
Gli studiosi si sono concentrati sul periodo 2000-2020 e hanno realizzato una prima mappatura globale della land reclamation, passando in rassegna oltre 50mila immagini Landsat. L’analisi è stata condotta su 135 città affacciate sul mare e aventi una popolazione di almeno 1 milione di abitanti: tra di esse, ben 106 hanno attuato progetti di espansione della loro superficie che, dal 2000 a oggi, hanno comportato un incremento complessivo di oltre 2350 chilometri quadrati di territorio.
Opere di questo genere sono molto invasive e spesso alterano in maniera irreversibile l’ambiente, distruggendo preziosi ecosistemi: infatti, a farne le spese sono principalmente le zone umide che vengono riempite di sedimenti e sono perdute per sempre, come è accaduto a buona parte delle piane di marea del Mar Giallo; in altri casi, i nuovi territori vengono costituiti impilando materiali direttamente nel mare o costruendovi strutture in cemento. Si tratta comunque di procedure che incidono negativamente sull’ambiente e sui suoi equilibri: comportano, ad esempio, la crescita dell’inquinamento, l’alterazione delle correnti che trasportano i sedimenti marini e l’impoverimento della biosfera.
Quello che stupisce – sottolineano gli autori del saggio – è che questi recuperi di terra procedono incessanti, soprattutto in zone costiere che sono già densamente popolate e a rischio per l’innalzamento dei livelli marini dovuto al cambiamento climatico. Solo in rari casi è stato considerato questo delicato aspetto mentre si procedeva a tali opere e comunque, secondo gli esperti, non è detto che una maggiore elevazione dei nuovi terreni possa garantire una difesa duratura dalle maree.
Ma quali sono le aree del nostro pianeta dove la land reclamation è più diffusa? Dai dati satellitari emerge che la ‘fame’ di terreno è particolarmente diffusa nell’Asia orientale (89% di nuove terre emerse); seguono il Medio oriente (6%) e il Sud-est asiatico (3%). Il fenomeno – evidenziano gli scienziati – è più diffuso in quelle aree della Terra che stanno conoscendo una rapida crescita economica e quindi hanno bisogno di più spazio per i porti e le aree industriali, commerciali e abitative per le persone che vi si sono trasferite per lavoro. Solo una piccola parte delle nuove terre emerse è destinata al turismo o a progetti urbani esclusivi, come le note isole a forma di palma di fronte alle coste di Dubai.
In alto: un’immagine satellitare di Shangai nel 2019, in cui sono evidenti i nuovi terreni di fronte alla costa (Crediti: Nasa Earth Observatory)