Sferzata da precipitazioni acide e resa gelida da temperature in picchiata. La Terra doveva trovarsi in queste condizioni proibitive 66 milioni di anni fa, dopo la ‘visita’ violenta dell’asteroide che ha decretato la fine dei dinosauri: a sostenerlo è un nuovo studio di Pnas – Proceedings of the National Academy of Sciences (articolo: “Massive perturbations to atmospheric sulfur in the aftermath of the Chicxulub impact”).
La ricerca, svolta da un team internazionale coordinato dalla Syracuse University (Usa), afferma che lo sconvolgimento climatico è stato molto più intenso di quanto si pensasse. L’indagine si è basata sullo studio di campioni sedimentari e si è focalizzata sull’analisi degli isotopi dello zolfo, che hanno svelato nuovi particolari sul traumatico evento che ha inciso così profondamente sulla storia del nostro pianeta.
La scoperta illustrata nello studio è avvenuta per caso. Il gruppo di lavoro, infatti, aveva acquisito i campioni dall’area del fiume Brazos (Texas) per analizzare la geochimica di antiche conchiglie fossili; la zona del Brazos era sott’acqua quando – alla fine del Cretaceo – è avvenuto l’impatto con l’asteroide e non è troppo lontana dal Chicxulub, il cratere formatosi dopo l’evento, situato nell’odierna penisola dello Yucatan (Messico).
Quando i geologi hanno iniziato l’esame dei campioni, si sono resi conto che gli isotopi dello zolfo producevano un insolito ‘segnale’ ovvero presentavano dei sottili e inaspettati cambiamenti nelle loro masse: questo fenomeno – spiegano gli esperti – si verifica quando lo zolfo entra nell’atmosfera terrestre e interagisce con la luce ultravioletta. Una condizione del genere, a loro avviso, può verificarsi solo in due casi: in un’atmosfera che non contiene ossigeno oppure quando l’ammontare dello zolfo è tale da essere in grado di dirigersi verso l’alto ed espandersi in un’atmosfera ossigenata, che sulla Terra è presente da circa 2,3 miliardi di anni.
L’anomalia riscontrata dagli studiosi non è presente nelle rocce marine in quanto il mare ha una sua specifica ‘firma’ isotopica che diluisce le piccole quantità di zolfo di origine vulcanica. Come spiegare quindi la presenza del ‘segnale’ connesso a questo elemento chimico nelle rocce del Brazos? I geologi ritengono che, dopo l’impatto dell’asteroide, un ingente ammontare di zolfo si sia diffuso nell’atmosfera con conseguenze pesanti e di lunga durata: raffreddamento del clima terrestre e formazione di piogge acide che hanno alterato la chimica degli oceani e rallentato la ripresa della vita.
Stime precedenti degli aerosol di zolfo presenti nell’atmosfera della Terra dopo il ‘botto’ oscillano tra 30 e 500 gigatonnellate: secondo i modelli climatici, questo zolfo si sarebbe trasformato in aerosol di solfato, che avrebbe causato un raffreddamento della crosta terrestre compreso da 2 a 8 gradi Celsius; la nuova scoperta, tuttavia, sostiene che – a fronte di una maggiore quantità di tale elemento chimico – il cambiamento climatico dovrebbe essere stato ancora più grave.
Crediti immagine in alto: Florida Atlantic University/Getty Images