Secondo una recente ricerca dell’Università di Copenaghen, la presenza di un disco di gas talmente piatto da essere quasi bidimensionale, attorno al supermassiccio nel centro galattico, potrebbe essere la risposta alle peculiarità emerse dalla più massiccia fusione di buchi neri finora osservata.
L’evento è stato chiamato GW190521, ossia la rivoluzionaria osservazione di onde gravitazionali generate dalla fusione di due buchi neri, inaspettata scoperta realizzata nel 2019 contemporaneamente da due osservatori, lo statunitense LIGO e l’interferometro Virgo in provincia di Pisa.
Nella scienza non tutte le domande trovano sempre una risposta. Ma a volte succede che una ricerca riesca a dare una plausibile spiegazione a più dilemmi contemporaneamente. Questo è ciò che è accaduto con il recente studio pubblicato su Nature, il quale ha suggerito per la prima volta una interpretazione valida alle tre peculiarità rilevate dall’osservazione di GW190521.
La prima singolarità di questo straordinario evento vede i due buchi neri risultare più pesanti di quanto precedentemente fosse ritenuto fisicamente possibile per tali entità. La seconda prerogativa che ha attirato l’attenzione degli scienziati è la produzione di un lampo di luce durante la loro fusione.
La terza e forse più sorprendente particolarità emersa è che i buchi neri, prima di fondersi insieme non orbitavano l’uno intorno all’altro lungo una traiettoria circolare.
Le onde gravitazionali emesse dall’evento di fusione suggerivano, infatti, che i due buchi avessero un’orbita eccentrica. Un’osservazione, tuttavia, in controtendenza con precedenti studi che indicavano l’orbita non circolare come un evento relativamente raro per due buchi neri in fusione.
Una rilevazione inaspettata spiegata inizialmente chiamando in causa l’estremo ambiente che caratterizza il centro galattico dove è ospitato il supermassiccio, un buco nero gigante con una massa milioni di volte superiore a quella del Sole, circondato da un disco di gas piatto e rotante.
Questa regione sarebbe, infatti, caotica ed estremamente dinamica a causa della velocità e densità dei diversi buchi neri che potrebbe essere ospitati oltre al grande fagocitatore. Compagni iperattivi che se molto piccoli inizierebbero a rimbalzare come in una gigantesca partita a biliardo. Una caotica carambola galattica da cui deriverebbe la bassa probabilità di assistere a sistemi binari di buchi neri con orbite circolari.
Un disordine ludico che oltre a generare traiettorie lontane dal disegnare circonferenze stimola la concentrazione di più palle insieme: uno sciame di piccoli buchi neri lungo il tavolo verde, che non tenderebbero quindi a formare solo coppie, piuttosto inizierebbero in duo a interagire con un terzo loro simile, creando così caotici balletti a tre.
Una spiegazione che non ha però soddisfatto Johan Samsing dell’Istituto Niels Bohr dell’Università di Copenhagen, autore principale dell’articolo, il quale è andato a mettere in dubbio un’ulteriore ipotesi condivisa dalle precedenti osservazioni, ipotizzando così che le interazioni dei buchi neri non avvengano in tre dimensioni, come invece previsto nella maggior parte dei sistemi stellari considerati fino ad oggi.
«Abbiamo iniziato a pensare a cosa sarebbe successo se le interazioni dei buchi neri avessero avuto luogo in un disco piatto, che è più vicino a un ambiente bidimensionale – afferma Johan Samsing – Sorprendentemente, abbiamo trovato in questo limite che la probabilità di formare una fusione eccentrica aumenta di ben 100 volte, il che porta a circa la metà di tutte le fusioni di buchi neri in tali dischi che potrebbero essere eccentriche».
Spostando così la caotica partita dal biliardo tridimensionale a un piano completamente bidimensionale, lo scontro tra le bocce risulterebbe più conforme con le osservazioni effettuate nell’evento GW190521: in altre parole, le sue 3 caratteristiche peculiari e altamente spettacolari, secondo i ricercatori, risulterebbero meno strane se la fusione dei due buchi neri fosse avvenuta in un disco di gas piatto, un piano sottilissimo attorno al supermassiccio nel centro galattico.
«Abbiamo ora dimostrato che ci può essere un’enorme differenza nei segnali emessi dai buchi neri che si fondono in dischi piatti e bidimensionali, rispetto a quelli che spesso consideriamo in sistemi stellari tridimensionali, il che ci dice che ora abbiamo uno strumento in più che possiamo usare per imparare come i buchi neri si creano e si fondono nel nostro Universo», conclude Johan Samsing.
Immagine: Illustrazione di uno sciame di piccoli buchi neri in un disco di gas che ruota intorno a un buco nero. Crediti: Samsing/Niels Bohr Institute