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È il maggiore e più interno dei due satelliti naturali che ‘accompagnano’ Marte e deve il suo nome a una figura della mitologia greca: si tratta di Phobos, luna scoperta nel 1877 dall’astronomo americano Asaph Hall, che è protagonista di uno studio mirato a indagarne le origini. La ricerca, coordinata dall’Università Paris Cité, sarà pubblicata su Astronomy & Astrophysics ed è al momento disponibile in anteprima sulla piattaforma arxiv.org. Il primo autore è Sonia Fornasier, astronoma italiana ora in forze all’Università Paris Cité.

Il gruppo di lavoro si è basato su un dataset di immagini scattate dalla sonda Mars Express dell’Esa e finora rimaste inedite: si tratta di 300 foto in alta risoluzione che includono anche le lune di Marte, due corpi celesti che spesso hanno sottoposto gli scienziati a un rebus per cercare di risalire alle loro origini. Negli anni, infatti, sono state formulate diverse teorie sulla nascita di Phobos e della sua compagna Deimos. Secondo alcuni studiosi, le due lune sarebbero state inizialmente degli asteroidi che, in un momento successivo, sarebbero stati ‘catturati’ dalla forza di gravità del Pianeta Rosso: questa ipotesi si basa sul fatto che la composizione chimica dei due corpi celesti è simile a quella di alcuni tipi di rocce individuati negli asteroidi della Fascia principale. Un’altra teoria, invece, sostiene che le due lune sarebbe il frutto di un colossale impatto che ha sconvolto Marte in un remoto passato.

Gli autori del saggio, analizzando le foto, si sono concentrati su uno specifico parametro di Phobos: l’intensità della luce solare che questa luna riflette da diverse angolazioni. Dall’esame è emerso che Phobos non riflette la luce in maniera uniforme: alcune sue regioni, come il bordo nordorientale del cratere Stickney, risultano altamente riflettenti, ma in generale l’intera superficie della luna è apparsa più luminosa quando si è trovata illuminata direttamente secondo l’effetto Seeliger. Considerata anche la natura porosa di Phobos, il gruppo di lavoro ha ipotizzato che esso potrebbe essere una cometa o un frammento di essa catturata dalla forza di gravità di Marte: infatti, la luminosità e la porosità sono due proprietà che si riscontrano nella famiglia delle comete gioviane. Questa teoria si potrebbe adattare anche a Deimos, tanto che gli studiosi hanno ipotizzato che i due satelliti naturali potrebbero essere due parti di una stessa cometa, intrappolata e poi spazzata dalla forza di gravità del Pianeta Rosso.

Questa teoria, comunque, presenta qualche problema dato che qualche parametro fotometrico di Phobos e Deimos non combacia con quelli delle comete gioviane. Quindi, per cercare di risolvere il più possibile il mistero delle origini di queste lune non resta che aspettare l’avvio della missione Mmx (Mars Moons eXploration), missione dell’agenza giapponese Jaxa destinata appunto all’esplorazione delle lune di Marte e il cui lancio è in programma per il 2026.

In alto: la luna Phobos (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/University of Arizona)