I buchi neri sono tra gli oggetti più complessi e misteriosi del cosmo. Ma, se guardati attraverso la lente della Relatività generale, ecco che i famigerati black holes appaiono come incredibilmente semplici. In base alla teoria einsteiniana, un buco nero può essere descritto da tre sole proprietà: la sua massa, la sua rotazione e la sua carica elettrica. E poiché è probabile che i buchi neri non abbiano molta carica, in realtà basterebbero soltanto le prime due proprietà.
Troppo bello per essere vero? Forse. Basta cambiare ‘occhiali’, e dalla lente relativistica passare alla lente quantistica: ecco che tutto si complica. E non a caso, i buchi neri sono uno dei principali terreni di scontro tra la fisica classica e la fisica quantistica. In base al secondo approccio, i buchi neri avrebbero in realtà caratteristiche aggiuntive – chiamate in gergo ‘capelli’ – che rivelerebbero l’esistenza di nuovi campi fondamentali. Si tratta di un’ipotesi ancora controversa, e la maggior parte della comunità scientifica propende in realtà per i buchi neri ‘senza capelli’ – una teoria sintetizzata dal cosiddetto teorema no-hair.
Ora un nuovo studio guidato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste permette un importante passo in avanti per conciliare le contraddizioni tra l’approccio classico e l’approccio quantistico.
«Nel nostro lavoro – spiega Alexandru Dima, astrofisico della Sissa e dell’Infn e prima firma dello studio – abbiamo considerato delle estensioni della teoria della Relatività generale di Einstein che forniscono previsioni interessanti per l’osservazione e lo studio di regimi estremi, come i dintorni dei buchi neri o le stelle di neutroni. Con questa ricerca abbiamo dimostrato per la prima volta, grazie a simulazioni numeriche, che questi oggetti possono far crescere spontaneamente la forma più semplice di quello che chiamiamo in gergo ‘capelli’ ma che tecnicamente definiamo un campo scalare, quando iniziano a girare abbastanza velocemente».
I risultati, pubblicati su Physical Review Letters, dimostrano che i buchi neri non sono tutti uguali: quando iniziano a ruotare più velocemente di una certa soglia, costringono i ‘capelli’ a crescere, e questo conferisce loro caratteristiche interessanti. In particolare, questo scenario getta una nuova luce sul prodotto dello scontro tra buchi neri più discusso degli ultimi anni, le onde gravitazionali.
«Il nostro risultato – continua Dima – suggerisce che, a seconda della velocità di rotazione degli oggetti coinvolti, le onde gravitazionali prodotte in conseguenza della fusione di sistemi binari di buchi neri potrebbero essere diverse rispetto a quanto previsto in precedenza. Nel prossimo futuro, l’osservazione di un tale effetto o della sua mancanza in esperimenti sulle onde gravitazionali permetterebbe di falsificare un’ampia classe di teorie alternative sulla gravità, o magari di ottenere indizi rivelatori di una nuova fisica che vada oltre la Relatività generale».