Che aria tira su Giove? Ce lo dice Juno, la sonda della Nasa che dal 2016 sta monitorando il gigante gassoso del Sistema Solare; alcuni dei preziosi dati raccolti sinora riguardano, infatti, l’atmosfera del pianeta e in particolare quelle aree definite ‘hot spot’ (in alto – crediti: Nasa/Jpl-Caltech/SwRi/Msss. Image processing: Brian Swift © CC BY ). I risultati delle osservazioni di Juno, che a bordo ha anche due strumenti italiani (lo spettrometro Jiram e lo strumento di radioscienza KaT), sono stati presentati lo scorso 11 dicembre durante la conferenza autunnale dell’American Geophysical Union, tenutasi quest’anno in modalità virtuale. Le apparecchiature di Juno hanno fornito nuovi dati anche sui cicloni che si addensano al polo sud del pianeta.

I primi approcci con l’atmosfera di Giove risalgono al 1995, quando Galileo, la sonda Nasa lanciata nel 1989 per studiare il corpo celeste e il suo sistema, intraprese l’esplorazione delle coltri di nubi che avvolgono il colosso gassoso. I dati raccolti da questa sonda, che ha cessato le operazioni nel 2003, hanno mostrato un’atmosfera molto più densa e più calda di quanto ritenuto, suscitando notevoli interrogativi nella comunità scientifica. La sensibilità degli strumenti di Juno, che ha recentemente completato il suo 29° sorvolo di Giove, suggerisce che le aree calde siano in realtà molto più ampie e profonde rispetto al quadro derivante dai dati di Galileo.

Il team di questa missione aveva pensato che la sonda avesse riscontrato tali condizioni, unitamente a secchezza e ventosità, perché aveva centrato proprio una delle aree calde, ovvero gli hot spot, che solcano la regione nord equatoriale del pianeta. I risultati delle rilevazioni di Juno, invece, mostrano che l’intera fascia nord equatoriale – un’ampia striscia ciclonica di colore marrone, che avvolge il pianeta appena al di sopra dell’equatore – è generalmente molto secca.

Questa condizione implica che gli hot spot possano essere non tanto un fenomeno isolato, ma piuttosto una sorta di ‘finestre’ in un’ampia regione dell’atmosfera gioviana, più secca e calda in paragone ad altre. Le informazioni raccolte da Juno – in alta risoluzione – evidenziano che questi punti caldi sono associati a degli ‘spiragli’ nei banchi di nuvole, da dove è possibile lanciare uno sguardo verso le pieghe più profonde dell’atmosfera del pianeta. I dati, inoltre, mettono in rilievo che gli hot spot, affiancati da nuvole e tempeste attive, alimentano scariche elettriche nell’alta e fredda atmosfera di Giove; tali scariche, scoperte di recente da Juno, sono state definite dai ricercatori ‘fulmini superficiali’ (shallow lightning). Questo tipo di folgori si verifica quando l’ammoniaca è mescolata con l’acqua, una combinazione che però lo strumento a microonde di Juno non riesce a percepire.

A seguito di questo mix, si originano dei particolari chicchi di grandine che gli studiosi hanno soprannominato ‘mushball’, dal nome di un tipo di palla morbida usata nello sport del softball. Quando tali chicchi diventano pesanti e ricadono nell’atmosfera, danno luogo ad un’ampia area priva di ammoniaca ed acqua; le due sostanze diventano di nuovo visibili allo ‘sguardo’ di Juno quando i chicchi si sciolgono ed evaporano.

Come anticipato sopra, Juno si è soffermata anche sui cicloni che imperversano sul polo meridionale del pianeta, dove lo scorso anno se ne è affacciato uno mai visto prima. Questo nuovo vortice, il sesto e più piccolo della compagnia, sembrava volersi unire agli altri e quasi cambiare la configurazione geometrica che caratterizza il polo sud (da pentagono ad esagono). Il ‘baby’ turbine non è riuscito nel tentativo, anzi è stato respinto e alla fine si è dissolto. Su questo tipo di fenomeno rimangono aperti ancora molti interrogativi, che gli studiosi stanno cercando di spiegare ricorrendo anche a modelli informatici: infatti, una maggiore comprensione della nascita e dell’evoluzione di tali cicloni potrà aiutare a capire meglio i processi sottesi all’atmosfera di Giove e, più in generale, a quelle dei pianeti gassosi.