Sono circa 1000 all’ora i cosiddetti lampi orbitali, brevissimi bagliori di luce che si accendono ogni giorno nel cielo notturno. A censirli, per la prima volta, è un nuovo studio condotto dall’Università del North Carolina, a Chapel Hill, allo scopo di migliorare l’accuratezza dei dati astronomici.

La presenza di questi rapidi lampi luminosi è strettamente connessa al crescente numeri di satelliti e di detriti spaziali, che sfrecciano attorno all’orbita terrestre riflettendo la luce solare. Circa un centinaio di essi è visibile anche ad occhio nudo, regalando uno spettacolo apparentemente innocuo che può anche destare una certa curiosità. Se non fosse che, nelle immagini catturate dagli osservatori astronomici, questi punti di luce sono spesso indistinguibili dalle stelle.

«I bagliori possono causare falsi allarmi nelle indagini di ricerca di nuovi eventi nel cielo», ha detto l’autore principale dello studio Hank Corbett, del Dipartimento di fisica e astronomia dell’UNC-Chapel Hill. «Per la prima volta, abbiamo studiato i lampi in modo sistematico. Ciò aiuterà a ridurre il loro impatto sugli studi astronomici. Le misurazioni effettuate – ha aggiunto Corbett – consentono di prevedere l’effetto dei bagliori sugli osservatori professionali, attuali e futuri, e di sviluppare tecniche per mitigare la loro influenza sui dati».

La luce riflessa dai satelliti può assumere due forme: lampi di breve durata che possono portare all’individuazione di eventi astrofisici errati e scie di luce associate invece a satelliti in rapido movimento o in rotazione lenta come SpaceX Starlink.

Tuttavia, nel nuovo studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, i ricercatori concludono che è improbabile che le costellazioni satellitari per internet, come Starlink di SpaceX, contribuiscano in modo significativo alla comparsa dei lampi, sebbene abbiamo altri potenziali effetti sull’attività di osservazione astronomica. Le strisce luminose sono una classe separata di eventi il cui impatto è oggetto di dibattito e di numerosi altri studi, e la cui mitigazione, grazie alla pressione dell’Unione astronomica internazionale, è stata portata all’attenzione delle stesse società che producono i satelliti.