Un sistema laser che alimenta fino a 15 chilometri di distanza un rover progettato per l’esplorazione della Luna. È il nuovo progetto appena finanziato dal programma Discovery & Preparation dell’Agenzia spaziale europea, che punta così a esplorare le zone più oscure del nostro satellite. Per lo sviluppo del rover l’Esa ha firmato un contratto di con l’azienda italiana Leonardo e con l’Istituto Nazionale di Ricerca e Sviluppo per l’Optoelettronica della Romania. Il progetto si chiama Philip, acronimo di Powering rovers by High Intensity Laser Induction on Planets, e avrà una durata di 10 mesi. Intorno a marzo 2021 dovrebbe quindi essere ultimata la fase di progettazione del primo rover lunare alimentato a laser.

Alle altitudini lunari più alte, il Sole rimane basso all’orizzonte tutto l’anno, proiettando lunghe ombre che mantengono i crateri avvolti in un buio permanente. Un’oscurità, affermano gli scienziati, che potrebbe durare miliardi di anni. Diverse sonde hanno già scattato immagini di questi crateri nascosti, come il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, la missione Chandrayaan-1 dell’Agenzia spaziale indiana e l’orbiter Smart-1 dell’Esa. I dati raccolti hanno mostrato che queste regioni lunari in ombra permanente sono ricche si idrogeno. Il che suggerisce che qui si possano trovare tracce di acqua ghiacciata.

Confermare questa ipotesi, oltre a un alto valore scientifico, sarebbe fondamentali per le future missioni lunari. E in un momento in cui il ritorno sulla Luna è una priorità per le agenzie spaziali, con il programma Artemis della Nasa in continua evoluzione, aumenta l’interesse per le risorse lunari. Ma l’unico modo per avere certezza della presenza di ghiaccio nei crateri oscuri lunari è mandare un rover a verificare “di persona”. Cosa che fino ad oggi è stato impossibile, dal momento che qualunque strumento inviato in queste zone dovrebbe fare a meno dell’energia solare e resistere a temperature paragonabili a quelle della superficie di Plutone, fino a -240°C.

«Il suggerimento standard per una situazione del genere – commenta l’ingegnere robotico dell’Esa Michel Van Winnendael – è di dotare il rover di generatori termoelettrici a radioisotopi a base nucleare. Ma questa soluzione presenta problemi di costi e complessità tecnica. Ad esempio, il rover rischia di riscaldarsi così tanto da rendere impraticabile prelevare e analizzare i campioni di ghiaccio».

Da qui l’idea di un sistema di alimentazione del rover basato sulla tecnologia laser. Il progetto si ispira a esperimenti laser utilizzati sulla Terra per mantenere in volo i droni per molte ore. Controllare questa tecnologia sulla Luna presenta chiaramente difficoltà maggiori, e per questo gli scienziati prevedono di posizionare un lander in una zona del nostro satellite quasi sempre illuminata dal Sole. Selezionare il luogo più adatto sarà parte del lavoro dei prossimi mesi, ma si parla di un’area compresa tra i crateri di Gerlache e Shackleton del polo sud lunare. Il lander ospiterà un laser a infrarossi da 500 watt alimentato a energia solare. Il rover, circa 250 chilogrammi di peso, sarà collegato al laser e si addentrerà nei crateri oscuri della Luna. La luce laser sarà convertita in energia elettrica grazie a una versione modificata di un pannello solare standard.

Nel verificare la fattibilità del progetto, l’Esa ha già effettuato alcuni test notturni a Tenerife, su un territorio con caratteristiche simili a quelle lunari. L’anno prossimo, ultimato il progetto Philip, sapremo se quella sulle tecnologie laser è una scommessa vincente anche per l’esplorazione delle ombre oscure della Luna.