Uno strato di gas sotto le superfici ghiacciate di oggetti celesti lontani potrebbe indicare che nell’Universo esistono più oceani liquidi di quanto si è pensato finora. Questo è quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience.

Nel 2015, la navicella New Horizons ha fornito le prime immagini del pianeta nano e delle sue lune. I dati mostravano la topografia del pianeta, compreso un bacino ellissoidale di colore bianco chiamato Sputnik Planitia, situato vicino all’equatore delle dimensioni del Texas. Sono nate così prime ipotesi della presenza di un oceano sotterraneo in quell’area, rimaste però infondate.

Attraverso simulazioni al computer un team di ricercatori dell’Università di Hokkaido, ha fornito prove convincenti della presenza di un oceano sotto la superficie di Plutone, ‘protetto’ da strati di idrati di gas che avrebbero impedito all’acqua di congelarsi.  Gli idrati di gas sono una classe di solidi della chimica supramolecolare in cui le molecole di gas occupano ‘gabbie’ composte da molecole d’acqua unite a legami di idrogeno. Sono altamente viscosi, hanno una bassa conduttività termica e potrebbero quindi fornire proprietà isolanti.

I risultati delle simulazioni mostrano che la formazione di una crosta ghiacciata sopra l’oceano impiegherebbe circa un milione di anni per svilupparsi, ma se fosse presente uno strato ‘isolante’ di idrato di gas, essa impiegherebbe più di un miliardo di anni. Lo studio supporta dunque la possibilità della presenza di un antico oceano liquido sotto la crosta ghiacciata di Sputnik Planitia.

Il team ritiene che il gas più probabile all’interno dello strato isolante sia il metano proveniente dal nucleo roccioso di Plutone. Questa teoria, in cui il metano è intrappolato come un gas idrato, è coerente con l’insolita composizione dell’atmosfera di Plutone – povera di metano e ricca di azoto. Strati isolanti di gas idrato simili potrebbero mantenere liquidi gli oceani sotterranei in altre lune ghiacciate e oggetti celesti distanti, concludono i ricercatori. “Questo potrebbe significare che ci sono più oceani nell’universo di quanto si pensasse in precedenza, rendendo l’esistenza della vita extraterrestre più plausibile”, afferma Shunichi Kamata dell’Università di Hokkaido che ha guidato la squadra.