Continente antartico di nuovo sotto i riflettori, per uno studio focalizzato sull’andamento delle sue strutture glaciali nel periodo compreso tra 1992 e 2017. La ricerca, appena pubblicata su Geophysical Research Letters (articolo: “Trends in Antarctic Ice Sheet Elevation and Mass”), è stata basata sui dati raccolti in 25 anni da quattro differenti missioni di Osservazione della Terra dell’Esa: Ers-1, Ers-2, Envisat e CryoSat. L’indagine, condotta da un gruppo di lavoro coordinato dall’Università di LeedsCentre for Polar Observation and Modelling, ha evidenziato che il riscaldamento delle acque oceaniche ha provocato l’assottigliamento dei ghiacci antartici al punto da minare la stabilità di quelli situati nella parte ovest del continente; particolarmente colpite sono le aree Pine Island Glacier e Thwaites Glacier, che stanno perdendo il loro ghiaccio ad un ritmo cinque volte più veloce rispetto agli anni ’90 (immagine in alto – credits: Cpom).

Gli studiosi hanno utilizzato i dati di oltre 800 milioni di misurazioni effettuate dagli altimetri delle quattro missioni e hanno riscontrato che il 24% del ghiaccio nell’Antartide occidentale è oramai precario. La ricerca si è basata anche su simulazioni relative alle precipitazioni nevose nello stesso venticinquennio, realizzate con il modello Racmo (Regional Atmospheric Climate Model). I ricercatori, successivamente, hanno distinto le informazioni riguardanti l’andamento dello spessore delle piattaforme glaciali in due categorie: quella relativa agli eventi meteorologici, che influenzano la neve, e quella relativa ai cambiamenti climatici a lungo termine, che incidono sul ghiaccio.

In questo modo è stato riscontrato che le oscillazioni nelle precipitazioni nevose producono piccoli cambiamenti su aree ghiacciate molto vaste e in un breve arco di tempo, mentre mutamenti più pronunciati nello spessore della coltre glaciale coincidono con tracce di squilibrio che si protraggono per decenni. Il manto glaciale, in alcune zone, si è assottigliato anche di 122 metri con effetti negativi sull’innalzamento del livello dei mari, cui la situazione dell’Antartide ha contribuito con 4,6 millimetri dal 1992 ad oggi. Gli autori dello studio ritengono che per questo tipo di indagini le missioni satellitari siano di fondamentale importanza perché consentono di avere un quadro completo di zone particolarmente inospitali, in cui le misurazioni in loco sarebbero molto difficoltose.