Si comporta come una crema solare a schermo totale ed esercita la sua funzione protettiva assorbendo le radiazioni dannose emesse dal Sole: il baluardo in questione è l’ozono, che negli ultimi decenni è si è guadagnato molto spesso gli onori della cronaca per la sua vulnerabilità rispetto a taluni gas derivanti dalle attività umane e per il conseguente e preoccupante fenomeno del buco formatosi sopra l’Antartide. A 30 anni dal Protocollo di Montreal, volto a ridurre drasticamente l’utilizzo dei gas colpevoli (i Cfc), il buco si è ridotto ed ha raggiunto l’estensione più bassa dal 1988, ma la guardia resta alta.

Al momento sono numerosi i satelliti della Nasa e della Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) impegnati a controllare l’andamento dello strato di ozono e l’azione dei raggi solari che, in presenza di determinati gas, dà luogo a reazioni chimiche nocive per le molecole del prezioso scudo. A breve questa squadra sarà arricchita da un nuovo elemento che verrà installato sulla Stazione Spaziale Internazionale: si tratta dello strumento Tsis-1 (Total and Spectral solar Irradiance Sensor) della Nasa, che sarà in grado di fornire misurazioni della luce solare, osservata al di sopra dell’atmosfera, con una precisione inedita e minori rischi di interferenze da altre sorgenti luminose. Nello specifico, Tsis-1 valuterà l’ammontare complessivo della luce solare che raggiunge la parte superiore dell’atmosfera terrestre e la sua distribuzione in oltre mille differenti lunghezze d’onda (tra 200 e 2400 nanometri), comprese quelle dell’ultravioletto.

Tsis-1, quindi, potrà osservare differenti tipi di luce ultravioletta (Uv), tra cui i raggi Uv-B e Uv-C che svolgono ruoli differenti rispetto all’ozono. Gli Uv-C, infatti, sono fondamentali nel meccanismo che porta alla creazione di questo schermo protettivo, mentre gli Uv-B, insieme ad altre sostanze chimiche naturali, ne regolano l’abbondanza; durante questi processi, l’ozono esercita la sua funzione di scudo, assorbendo i raggi Uv-B e Uv-C. L’assottigliamento di questa difesa naturale, teorizzato già negli anni ’70 ma osservato solo nel decennio successivo, ha avuto come conseguenza il passaggio di parte degli Uv-B verso la Terra. Il nuovo strumento, che fa parte del programma Earth Systematic Missions, è stato sviluppato dal Goddard Space Flight Center della Nasa, mentre le misurazioni saranno gestite dall’Università del Colorado-Boulder che ne curerà la diffusione alla comunità scientifica. Tsis-1, quindi, consentirà di migliorare la modellistica informatica su cui gli addetti ai lavori fondano parte delle loro ricerche e previsioni, sia sui processi fisici e chimici che avvengono nell’atmosfera, sia su quei meccanismi alla base della riduzione del buco dell’ozono.