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130 anni di studi di un’unica evoluzione stellare messi insieme: si tratta di un nuovo importante record per l’astronomia, ossia l’osservazione temporale più lunga mai effettuata per una nebulosa planetaria – e forse per qualsiasi stella.
Il primato è stato siglato da una nuova ricerca con protagonista la nebulosa planetaria Ic418, situata a circa 2000 anni luce dalla Terra nella costellazione della Lepre.
Le nebulose planetarie sono gli involucri luminosi espulsi da stelle morenti, dove il gas emesso durante l’agonia stellare viene eccitato e ‘ionizzato’ dal nucleo stellare residuo.

Chiamata anche ‘spirografo’, Ic418 è tra le prime nebulose planetarie mai scoperte e anche una delle prime a essere osservate spettroscopicamente nel 1893. Adesso, tutte le sue osservazioni effettuate da allora sono state analizzate insieme in un nuovo studio firmato da due scienziati dell’Università di Manchester e dell’Università di Hong Kong, ricostruendo così, per la prima volta, l’evoluzione diretta di una stella morente non esplosiva nell’arco di oltre un secolo.

Questo immane lavoro, i cui risultati sono pubblicati su The Astrophysical Journal Letters, ha profonde implicazioni sui modelli esistenti condivisi sull’evoluzione stellare.
La nuova indagine ha, infatti, misurato per la nebulosa planetaria Ic418 un processo evolutivo stellare più lento rispetto a quanto atteso. Tuttavia, grazie al monitoraggio da record ricostruito dalla ricerca, gli autori hanno anche rivelato il tasso di riscaldamento più rapido per una stella rispetto a quanto registrato finora. Il nucleo delle nebulose planetarie, infatti, si riscalda fino a diventare una cosiddetta nana bianca. Le nane bianche hanno in genere un diametro simile a quello della Terra, ma una massa pari a circa 0,6 volte quella del nostro Sole, quindi sono sia calde che dense.

«Riteniamo che questa ricerca sia importante perché offre prove uniche e dirette dell’evoluzione delle stelle centrali nelle nebulose planetarie. Ci spingerà a ripensare alcuni dei nostri modelli esistenti sui cicli di vita stellari. È stato un grande lavoro di squadra: raccogliere, verificare e analizzare attentamente più di un secolo di dati astronomici e poi fonderli con i modelli di evoluzione stellare», afferma Quentin Parker, direttore del Laboratorio di ricerca spaziale dell’Università di Hong Kong e uno dei due autori dello studio.

Infine, secondo quanto osservato, la ricerca suggerisce la necessità di rivedere al ribasso le masse alle quali possono formarsi le stelle di carbonio. Queste particolari stelle hanno un’atmosfera che contiene più carbonio che ossigeno, mentre la maggior parte delle stelle, compreso il nostro Sole, sono più ricche di ossigeno.
L’abbondanza di carbonio facilita la formazione di composti carboniosi nell’atmosfera stellare, conferendo alle stelle di carbonio un colore rosso rubino.

 

Immagine in evidenza: Ic418, la “Nebulosa Spirografo”, osservata dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: Nasa