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Creatrici e distruttrici, le esplosioni di supernova avvenute nei dintorni del nostro pianeta potrebbero aver contribuito ad almeno due eventi di estinzione di massa nella storia della Terra. È quanto suggerisce un articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Non è la prima volta che si ipotizza che eventi celesti abbiano scatenato almeno un’estinzione di massa. Uno, l’impatto di asteroide avvenuto 66 milioni di anni fa, ha spazzato via il 75 per cento delle forme di vita sulla Terra, condannando definitivamente dinosauri e altre specie. Ora, secondo lo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Keele, a risultare ‘pericolose’ sarebbero anche le esplosioni stellari. Tra i fenomeni più potenti dell’universo, le supernove rappresentano l’epilogo di una stella massiccia che termina il suo ciclo vitale con un’esplosione estremamente energetica, rilasciando enormi quantità di radiazioni e particelle ad alta energia nello spazio circostante.

L’ipotesi è che il verificarsi di un tale evento entro 60 anni luce dalla Terra potrebbe aver spogliato il nostro pianeta del suo strato di ozono protettivo, esponendo la vita a radiazioni ultraviolette dannose provenienti dal Sole.

Il team ha analizzato i dati raccolti dal satellite Gaia, ora in pensione, per mappare la posizione di oltre 24mila delle stelle più luminose nell’universo, concentrandosi su quelle situate entro 3.260 anni luce dal Sole per identificare nuovi gruppi di stelle giovani e massicce e ricostruire la storia della formazione stellare nelle vicinanze. L’indagine ha permesso di stimare il tasso con cui le esplosioni di supernova avvengono in prossimità della Terra. I risultati hanno mostrato che, nelle galassie simili alla Via Lattea, si verificano circa una o due esplosioni di supernova, o forse un tasso ancora più basso, ogni secolo. Nel raggio di 60 anni luce dalla Terra, invece, le supernove sono eventi estremamente rari, con un tasso stimato di 2-2,5 supernove per miliardo di anni.

Stando ai numeri, questo dato indicherebbe un legame tra supernove ed eventi di estinzione di massa avvenuti sulla Terra, nello specifico quelli del tardo Devoniano (circa 372 milioni di anni fa) e dell’Ordoviciano (circa 445 milioni di anni fa). Entrambi questi periodi sono stati caratterizzati da una drastica riduzione della biodiversità, con la scomparsa di numerose specie marine.

Nel caso dell’estinzione dei dinosauri, la prova che fu l’impatto di un asteroide alla fine del Cretaceo, è stata confermata dal ritrovamento dell’iridio, un elemento raro sulla superficie terrestre ma comune nei meteoriti, all’interno del cratere di Chicxulub, in Messico. L’idea della supernova ha forse bisogno del suo equivalente di iridio. E, probabilmente, il corrispettivo c’è. Oltre alla correlazione temporale tra supernove ed estinzioni, ricerche precedenti hanno infatti individuato tracce di ferro-60, un isotopo radioattivo, nella polvere cosmica raccolta dalla neve antartica e dalla superficie della Luna. La presenza di questo elemento, poco abbondante sulla Terra ma prodotto in grandi quantità nelle esplosioni di supernova, è stata collegata alla riduzione dello strato di ozono terrestre che ha reso la vita sulla superficie del pianeta più vulnerabile ai raggi ultravioletti.

La scoperta, ancora tutta da confermare, evidenzia il doppio ruolo delle stelle massicce: da un lato, le loro esplosioni arricchiscono lo spazio con elementi chimici pesanti che favoriscono la formazione di nuove stelle e pianeti; dall’altro, se avvengono troppo vicino a un pianeta possono avere conseguenze devastanti sulla vita. La buona notizia per la Terra è che ci sono solo due stelle vicine che potrebbero diventare supernove entro il prossimo milione di anni: Antares e Betelgeuse. Fortunatamente, la distanza che ci separa, più di 500 anni luce, è sufficiente a proteggere il nostro pianeta da una catastrofe.

 

In apertura: Supernova 1987a (al centro), all’interno di una galassia vicina alla nostra Via Lattea chiamata Grande Nube di Magellano. Crediti: Nasa, Esa, R. Kirshner (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e Fondazione Gordon e Betty Moore), M. Mutchler e R. Avila (STScI).