Cosa succederebbe se potessimo distinguere singole stelle in una galassia talmente distante che la sua luce risale a miliardi di anni fa?
In galassie lontane, la luce di tutte le stelle si mescola durante il lungo viaggio fino a noi. Ciò che si osserva, con strumenti tradizionali, è generalmente un’enorme macchia sfocata di luce in cui i singoli astri appaiono ‘fusi’ in un’unica emissione luminosa. Ma oggi, quello che fino a poco tempo fa sembrava impossibile, non lo è più.
Un team di astronomi del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian (CfA) è riuscito, infatti, ad acquisire le immagini di più di 40 stelle individuali in una galassia a 6,5 miliardi di anni luce dalla Terra. La scoperta, pubblicata su Nature Astronomy, rappresenta un risultato da record: mai prima d’ora si erano viste così tante stelle singole a una tale distanza.
La galassia protagonista dell’impresa – situata dietro l’ammasso galattico Abell 370 – è Dragon Arc (Arco del Drago), così distante che la sua luce risale a un’epoca in cui l’universo aveva solo la metà della sua età attuale. Questo risultato è stato possibile grazie all’eccezionale capacità di raccolta della luce infrarossa del telescopio spaziale James Webb (Jwst) che, assieme all’effetto di lente gravitazionale, ha cambiato le regole del gioco.
La lente gravitazionale, prevista dalla teoria della relatività generale di Einstein, agisce come una lente naturale: gli enormi campi gravitazionali di oggetti massicci, come l’ammasso di galassie Abell 370, piegano e amplificano la luce di galassie più lontane, posizionate dietro di essi rispetto alla linea di vista dalla Terra. È un po’ come guardare attraverso il fondo di un bicchiere d’acqua: gli oggetti che stanno dietro appaiono ingranditi e distorti. Lo stesso effetto ha allungato e distorto la galassia Dragon Arc in una forma sinuosa, simile al corpo di un drago, rendendo visibili le sue stelle e consentendo a strumenti moderni come il Jwst di distinguere dettagli che altrimenti sarebbero rimasti nascosti.
Sono ben 44 i puntini luminosi individuati nelle immagini elaborate, ciascuno corrispondente a una singola stella. Molte sono supergiganti rosse, simili a Betelgeuse, negli stadi finali della loro vita, e in contrasto con le supergiganti blu – simili a Rigel e Deneb, tra le più luminose del cielo notturno – rilevate in precedenza con Hubble.
Se finora le osservazioni erano limitate a una manciata di stelle per galassia, adesso la sensibilità del Webb ha permesso di ‘catturare’ stelle a temperature più basse, con potenziali spunti d’approfondimento sulla composizione, sull’evoluzione e sull’ambiente che circonda centinaia di popolazioni stellari in galassie distanti. La scoperta non si limita, però, a fornire una visione più nitida delle stelle lontane: individuarne un gran numero permette di costruire un modello più accurato della distribuzione della materia oscura, presente nell’ammasso che crea la lente.
In apertura: L’ammasso galattico Abell 370 con il suo “Arco del Drago”, (in basso a sinistra, nella parte centrale). Crediti: Nasa