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È stata scoperta da Galileo nel 1610, fa parte del quartetto dei ‘satelliti medicei’ di Giove ed è il corpo celeste geologicamente più attivo del Sistema Solare, come testimonia la sua superficie punteggiata da circa 400 vulcani: sono questi i tratti salienti della luna Io, al centro di un nuovo studio di Nature che ha analizzato i processi alla base della sua attività vulcanica. L’indagine, i cui risultati sono stati presentati al convegno annuale dell’American Geophysical Union in corso a Washington, si è basata sui dati della missione Juno della Nasa, di precedenti missioni esplorative del sistema gioviano e di telescopi di terra; nel team degli autori sono presenti anche ricercatori dell’Università Alma Mater di Bologna, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Università “La Sapienza” di Roma.
La sonda ha acquisito i dati durante due sorvoli molto ravvicinati di Io (a 1500 chilometri di distanza), effettuati a dicembre 2023 e a febbraio 2024; queste informazioni sono state utilizzate per misurare la forza di gravità della luna, in base alla sua influenza sull’accelerazione di Juno, e hanno portato gli studiosi a ripensare la struttura interna di Io. Gli scienziati, infatti, hanno concluso che i vulcani di questa luna così vivace non siano alimentati da un oceano sub-superficiale di magma, ma probabilmente da singole camere magmatiche: questa proposta, dunque, risolverebbe un enigma che ha intrigato gli studiosi per oltre 40 anni.
L’attività di Io fu scoperta solo nel 1979, quando nelle immagini realizzate dalla sonda Voyager 1 fu individuato un pennacchio di natura vulcanica. Da allora, la comunità scientifica ha cercato di comprendere i meccanismi alla base dell’esuberanza geologica di questo corpo celeste. Io è molto vicina a Giove e compie la sua orbita eccentrica intorno al pianeta gigante ogni 42,5 ore: la luna subisce l’influenza gravitazionale di Giove, finendo per essere ‘strizzata’. Questa pressione costante crea un’intensa energia che scioglie letteralmente parte dell’interno di Io.
Dai dati acquisiti da Juno nei due suddetti sorvoli, messi a confronto con quelli d’archivio, emerge che la deformazione mareale di Io non è coerente con la presenza di un vasto oceano sub-superficiale di magma. La scoperta, oltre a far delineare un nuovo identikit di Io, ha implicazioni anche per l’analisi della struttura di altre lune (ad esempio, Encelado ed Europa) e degli esopianeti, come le super-Terre.
Juno, lanciata il 5 agosto 2011, ha raggiunto l’orbita di Giove il 5 luglio 2016 e da allora ha iniziato la sua attività scientifica, mirata a comprendere l’origine e l’evoluzione del pianeta. La missione, grazie all’impegno dell’Agenzia Spaziale Italiana, vanta un significativo contributo ‘tricolore’ con lo spettrometro Jiram (strumento dell’Inaf-Iaps, realizzato da Leonardo) e lo strumento di radioscienza KaT (Ka-Band Translator, dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, realizzato da Thales Alenia Space-Italia.
In alto: la luna Io osservata dalla sonda Juno durante il sorvolo del dicembre 2023 (Crediti: dati, Nasa/Jpl-Caltech/SwRI/Msss – processamento a cura di Gerald Eichstädt) – L’immagine nelle sue dimensioni originali a questo link