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Una potente tempesta solare, con espulsione di massa coronale, ha investito il nostro pianeta nel maggio scorso. E’ stata la più violenta degli ultimi due decenni, con un numero di aurore eguagliato pochissime volte negli ultimi 500 anni.
Gli enormi fasci di particelle cariche che la nostra stella ci ha riversato, per fortuna, non hanno avuto conseguenze gravi, ma che succederebbe se le tempeste fossero d’intensità ancora maggiore?

Intanto, sappiamo per certo che il rischio è reale. Nelle analisi dei ghiacci millenari e dei tronchi fossili sono state trovate tracce di quelli che gli scienziati chiamano ‘super-brillamenti‘, eruzioni solari d’intensità eccezionale, che dimostrano come il Sole sia una stella in grado di scatenare fenomeni più violenti di quelli a cui abbiamo assistito di recente. Quello che ancora non sappiamo è con quale frequenza vengono prodotti.

I dati a disposizione sono ancora scarsi, dopotutto misuriamo l’intensità delle radiazioni di una tempesta solare da meno di cento anni. Non solo, per averne di nuovi bisogna attendere che il Sole produca tempeste e super-brillamenti, il che potrebbe tradursi in secoli di misurazioni prima di avere informazioni sufficienti ad azzardare previsioni affidabili.
Gli scienziati però hanno pensato bene come aggirare questo problema. Invece di attendere gli eventi locali, hanno raccolto i dati relativi alle tempeste solari e i super-brillamenti di decine di migliaia di stelle simili al Sole sparse nella galassia, raccolti dai telescopi spaziali.

Si tratta di uno vasto studio, ancora in corso, svolto dai ricercatori dell’Università di Graz (Austria) e di Oulu (Finlandia), insieme con l’Osservatorio Nazionale Astronomico del Giappone, l’Università Boulder del Colorado, il Commissariato francese per le Energie Atomica e Alternativa, l’Università of Parigi.
Insieme hanno già analizzato i dati forniti dal telescopio Kepler dal 2009 al 2013 su 56.450 stelle con luminosità e temperature simili al Sole.
L’ammontare delle informazioni disponibili corrisponde a 220.000 anni di attività solare.

Si è prestata molta attenzione nell’escludere errori o fenomeni di altra natura, come la radiazioni cosmica, il passaggio di asteroidi e comete o le esplosioni di stelle diverse dal Sole. La scrematura è stata molto accurata, qualsiasi caso che poteva generare un dubbio, anche minimo, sulla sua natura dell’evento registrato è stato opportunamente scartato.
Applicando i dovuti filtri, alla fine gli scienziati hanno identificato 2.889 super-brillamenti, che tradotto in termini statistici significa che le stelle simili al Sole ne producono mediamente uno ogni secolo.

Sembrerebbero quindi fenomeni rari, ma in termini astronomici possiamo considerare queste esplosioni ‘frequenti’. Lo studio è al momento il più accurato mai realizzato ed è affiancato da un altro che tenta invece di tracciare la storia dei super-brillamenti che hanno colpito la Terra analizzando la presenza del carbonio-14, un isotopo radioattivo che si forma quando le radiazioni solari impattano l’atmosfera e che finisce negli alberi e nei ghiacci.
Dalle analisi di questo secondo studio emergono cinque eventi estremi legati alle particelle solari (più tre ancora incerti), accaduti negli ultimi 12.000 anni dell’Olocene. Statisticamente, si traduce in una tempesta solare eccezionale ogni 15 secoli, con la più potente avvenuta nel 770 a.C.
Non si esclude che gli eventi estremi siano stati più numerosi di quelli scoperti, resta anche incerto se questi brillamenti giganti compaiano sempre in concomitanza con espulsioni di massa coronale e, più in generale, che tipo di relazione esiste tra i super-brillamenti e le tempeste solari estreme.

Purtroppo, anche alla luce delle nuove conoscenze, non possiamo ancora determinare quando il Sole produrrà il prossimo super-brillamento, per cui è fondamentale che l’attività della nostra stella madre resti continuamente sotto stretta osservazione, così da avere il tempo di correre ai ripari nel caso di fenomeni estremi.
Un valido aiuto nella prevenzione sarà l’avvio nel 2031 del programma Vigil, il primo satellite europeo dedicato allo studio del meteo spaziale, che verrà collocato in orbita nello Spazio profondo.
Come spiega il Direttore Generale dell’Esa Josef Aschbacher: «Vigil migliorerà drasticamente sia i tempi di diffusione degli avvisi per meteo spaziale sia il loro livello di dettaglio, dal suo punto di vista unico nello Spazio profondo».

 

 

Immagine: Brillamento solare catturato il 2 ottobre 2014 dall’osservatorio Solar Dynamics della Nasa
Crediti: Nasa/Sdo