«Sono orgogliosa di aver portato un pezzo di Italia su una cometa!», afferma Amalia Ercoli-Finzi, principal investigator dello strumento SD2 a bordo del lander Philae della missione Rosetta di Esa.

Se l’Italia dello spazio 10 anni fa è arrivata fin sopra una cometa lo deve in gran parte a lei: Amalia Ercoli-Finzi, classe 1937, prima donna in Italia a laurearsi in ingegneria aeronautica nel 1962, oggi conosciuta come “la signora delle comete”. Amalia è stata tra i grandi protagonisti di Rosetta, la missione robotica di Esa che il 12 novembre 2014 ha realizzato il primo e tuttora unico atterraggio di una sonda su una cometa nella storia dello spazio.
Un’impresa al limite ma superata con successo a oltre 500 milioni di km dalla Terra, che ha visto in prima linea il piccolo lander Philae, realizzato da un consorzio guidato dall’Agenzia spaziale italiana insieme a quella tedesca e francese.
Con a bordo 10 strumenti scientifici, tra cui la trivella spaziale realizzata sotto la responsabilità di Amalia Ercoli-Finzi, Philae è atterrato sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.

«L’idea di fare una missione rivolta a una cometa, ma una missione speciale come questa di Rosetta, è stata proprio un’idea italiana. L’Italia aveva pensato che fosse il caso di andare a fare una cosa completamente diversa da quella che erano state le altre missioni come Italia. Quindi non solo guardare la cometa, ma – e qui è il segreto – arrivare alla cometa con la sua stessa velocità. Questo per poterci mettere in orbita attorno alla cometa e diventare una luna della cometa», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

Lanciata nel 2004, la missione Rosetta ha intrapreso un viaggio di 10 anni e molto avventuroso per raggiungere la sua meta. Dopo 4 flyby planetari e due sorvoli ravvicinati di asteroidi, il veicolo spaziale, composto da un orbiter e il lander Philae, è infatti entrata in uno letargo durato 31 mesi prima di risvegliarsi autonomamente.

«Il nostro veicolo è stato addormentato, addormentato perché stavamo andando così lontani dal Sole che non avevamo neanche l’energia sufficiente per poter accendere i ricevitori e i trasmettitori. Insomma, ci siamo addormentati per oltre 2 anni. Svegliarsi è stata la cosa più eccezionale perché noi avevamo un’ora di tempo per poter recuperare un granellino, com’era il nostro spacecraft, nel sistema solare. Ricordo che questa impresa era così difficile che quando gli americani si sono ritirati hanno anche detto “You will not succeed”, non ci riuscirete», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

E invece il 20 gennaio 2014, Rosetta si risveglia. Poi, il 6 agosto 2014, arriva un altro successo: la missione raggiunge il suo bersaglio, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, diventando la prima sonda ad avvicinarsi a una cometa e a seguirla con la sua stessa velocità nella sua orbita attorno al Sole.
Le prime osservazioni in prossimità rivelano la forma molto strana della cometa, per nulla simile a una patata come atteso dagli scienziati bensì composta da due lobi, come un piccolo peso da palestra.
Dopo due mesi di osservazione anche fino a 10 km dalla sua superficie, il team di Rosetta sceglie il sito dove fare atterrare Philae, un luogo liscio chiamato Agilkia situato sul più piccolo dei due lobi della cometa.
È il 12 novembre 2014 quando la missione sigla il più grande dei suoi successi: il primo atterraggio su una cometa della storia, realizzato dal piccolo lander dopo una discesa di 7 ore.

«Quando siamo arrivati sulla cometa, abbiamo fatto un accometamento talmente morbido che siamo rimbalzati, però portandoci in una zona che era completamente sconosciuta. Philae è rimbalzato con una velocità di appunto di rimbalzo di 4 cm al secondo inferiore alla velocità di fuga, quindi sarebbero bastati 4 cm al secondo in più per perdere completamente il nostro lander. Invece no, noi siamo atterrati, ci siamo fermati in una piccola caverna dopo aver fatto un rimbalzo che a un certo punto ha anche sfiorato di nuovo la cometa. E noi abbiamo i dati perché siccome noi leggevamo attraverso la risposta dei pannelli solari, noi leggevamo il comportamento, cioè l’assetto di  Philae, ecco che noi sappiamo benissimo com’era disposto Philae, da quando è partito con questo salto fino a quando si è atterrato», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

L’atterraggio spericolato di Philae, causato dai malfunzionamenti al suo sistema di discesa e agli arpioni sui suoi tre piedi che avrebbero dovuto fissarlo alla superficie, si tramuta così in un’opportunità unica. Dal primo segnale di touchdown, gli strumenti di Philae entrano infatti in funzione e rimangono attivi durante i tre rimbalzi sulla cometa, fornendo così diverse misurazioni della superficie.

«Alla cieca abbiamo fatto lavorare gli strumenti con quel tanto che avevamo di energia, cioè la batteria primaria la quale ha fatto un lavoro ottimo perché l’abbiamo riaccesa dopo 10 e passa anni di viaggio e si era accesa benissimo. Abbiam fatto questi primi esperimenti, abbiamo azionato tutto, compreso il mio trapano, la mia trivella. Dopodiché ci siamo addormentati per il fatto che non avevamo più energia. Noi per 2 anni abbiamo orbitato attorno alla cometa con l’orbiter senza poter metterci in contatto con Philae. Nel contempo, l’orbiter continuava a girare attorno alla cometa per studiare il suo comportamento, ma anche nella speranza di ritrovare Philae, cosa che è avvenuta il 2 di settembre del 2016. Si vede il nostro Philae che è messo tutto di traverso con una zampa rivolta verso l’alto, quindi la posizione era veramente una posizione scomodissima, ma si vede anche un puntino bianco che è la testa del mio strumento, e io sono orgogliosa di aver portato un pezzo di Italia su una cometa», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

Nelle 64 ore passate dalla separazione da Rosetta fino alla fase di ibernazione sulla cometa, Philae completa circa l’80% delle analisi scientifiche previste, permettendo importanti scoperte anche grazie allo strumento SD2, il trapano spaziale realizzato grazie ad Amalia.

«Il mio strumento, che era destinato a raccogliere i campioni, doveva anche collocarli in fornetti – a 180° si era di media temperatura e 800° nel caso che fossimo riusciti a portarli in una ad alta temperatura – e dopodiché leggere questi risultati; è noto che la lettura veniva fatta attraverso una finestrina di zaffiro, come dire che il mio strumento era veramente un gioiello: trapano di diamante e finestrina di zaffiro, una cosa meravigliosa. Ecco, noi non sappiamo che cosa siamo riusciti a fare attraverso il mio trapano proprio perché la posizione era tale da non garantirci tutto questo, però abbiamo lasciato aperto due fornetti in modo tale da poter raccogliere quel tanto di atmosfera che c’era attorno alla cometa e quindi di analizzarla, cosa che si sta facendo ancora adesso», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

Nei mesi successivi all’ibernazione di Philae, Rosetta ha continuato a restituire una quantità di informazioni senza precedenti sulla cometa, mentre orbitava intorno al Sole. La missione ha così fornito le prime immagini del risveglio di una cometa, ovvero quando la sua roccia ghiacciata inizia a sublimare mentre la cometa si avvicina sempre di più al Sole.
Ma perché è fondamentale studiare le comete e osservarle da vicino?

«Perché andare su una cometa? Perché è una forma di studio archeologico, cioè le comete sono nate insieme al sistema solare, esattamente insieme alla nube protoplanetaria, come dire che hanno 4 miliardi e mezzo di anni. Il fatto è che le comete, piccoli sistemi di ghiaccio, non sono riuscite ad aggregarsi tra di loro in modo tale da formare un pianeta, un satellite, insomma, un corpo celeste e però, appunto, conservano le caratteristiche che il sistema solare aveva nel momento in cui è nato. Quindi per noi studiare le comete vuol dire studiare la nostra preistoria. Conoscendo le composizioni delle comete, veniamo a conoscere com’era fatto il sistema solare nel momento in cui è nato», afferma Amalia Ercoli-Finzi.

La missione Rosetta, grazie soprattutto alle osservazioni effettuate sulla superficie dai 10 strumenti a bordo di Philae, ha fornito così anche le tracce che dimostrano il ruolo fondamentale delle comete per la nascita della vita sul nostro Pianeta.

«La cometa era ricoperta, cioè aveva un’abbondanza di molecole organiche, cioè di molecole che sono associate alla vita.Non solo, ma noi abbiamo trovato un amminoacido, il più semplice di tutti, ma che è un mattone, proprio un mattone della vita. La vita come la intendiamo noi, la vita col ciclo di carbonio. Ecco, allora le comete hanno portato la vita nel sistema solare», conclude Amalia Ercoli-Finzi.