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Le missioni spaziali di oggi vengono preparate sulla base dei risultati scientifici di quelle precedenti. Fotografie, bobine in pellicola, microfilm, microfiche (lucidi contenenti immagini in scala ridotta di elementi stampati) delle missioni di un tempo contengono dati inestimabili e gli istituti dedicati hanno il compito di salvarli e ripristinarli per consentire ai ricercatori di fare nuove analisi.

Giove ritratto dalla missione Pioneer 10

Giove ritratto dalla missione Pioneer 10 – Crediti: Nasa

Ma non è sempre stato così. Fino a 40 anni fa non c’erano regole su come archiviare i preziosi dati raccolti durante le missioni. Accadeva addirittura che alcuni ricercatori nemmeno si preoccupassero di catalogare i loro dati.

«Ciò che sorprende è quanta di queste informazioni sia andata perduta o almeno non sia in condizioni tali da poter essere utilizzata da chiunque – ha detto David Williams responsabile del Nasa Space Science Data Coordinated Archive (Nssdca) alla rivista Space.com – Ci stiamo lavorando lentamente».

Verso la fine degli anni Ottanta il Planetary Data System (Pds) della Nasa, che è il punto di riferimento per i dati scientifici planetari, ha imposto un processo di archiviazione, promettendo di negare i finanziamenti ai ricercatori che non avrebbero archiviato i propri dati. Il compito di assicurare l’archiviazione corretta presso il Nssdca spetta a Williams, il quale, oltre a setacciare archivi, scantinati e magazzini dimenticati presso istituzioni in tutti gli Stati Uniti, sceglie come catalogarli e formattarli in modo che possano essere utili alle future generazioni di astronomi.

microfilm dati missione Mariner 4 su Marte

Microfilm dati missione Mariner 4 su Marte – Crediti: Nasa

Oggi tutto è digitalizzato e sottoposto a backup su Cloud, mentre le fonti originali, che siano una stampa, un microfilm o un nastro, vengono conservate tra la Nssdca e la cosiddetta Iron Mountain, entrambe a Greenbelt nel Maryland.

Ci sono ancora molti dati di esperimenti e missioni, precedenti all’introduzione di questo rigoroso processo, che ancora non sono stati archiviati, hanno una documentazione incompleta o sono semplicemente mancanti, forse in modo permanente. «Circa 15 anni fa, abbiamo ricevuto una richiesta per i dati dell’esperimento di biologia del programma Viking (un progetto del 1976 per la ricerca di vita microbica su campioni di terra marziana). Non trovai alcuna documentazione archiviata al riguardo – ha raccontato Williams – E mi sono reso conto che ero seduto lì con queste scatole di microfilm che sono l’unica cosa rimasta di quell’esperimento di biologia di Viking. Se fosse successo qualcosa a queste scatole, sarebbe sparito tutto. Temo che delle missioni più vecchie ci siano dati che sono andati persi e che non li troveremo mai».

Un altro aneddoto curioso, raccontato da Williams, riguarda le Apollo Lunar Surface Experiment Packages (Alsep), stazioni scientifiche lasciate sulla Luna da ogni missione Apollo tra il 1969 e il 1972. Queste stazioni hanno trasmesso dati a Terra fino al 1977. Temperatura, terremoti lunari, esposizione ai raggi cosmici, flusso di calore nel sottosuolo, campo gravitazionale e magnetico della luna e altro ancora, venne archiviato su nastro magnetico. Poi è arrivato il Marine Mammal Protection Act, una legge per la protezione dei mammiferi marini. «Cosa c’entra questo con i dati astronomici? Si è scoperto che l’olio di balena era il lubrificante perfetto per i nastri magnetici: non era conduttivo, non danneggiava il substrato magnetico, aveva proprietà magnetiche e non rovinava le macchine di lettura dei nastri» ha spiegato Williams. Con l’approvazione della nuova legge, l’olio di balena non poteva più essere utilizzato, e nel frattempo un’azienda aveva già ideato un nuovo lubrificante. Il problema fu che dopo sei mesi i nastri magnetici si stavano seccando e una volta messi sul lettore, si trappavano. «Così, hanno iniziato a utilizzare vecchi nastri che avevano ancora olio di balena per registrarci sopra e a un certo punto qualcuno ha trovato i nastri Alsep». Tutto ciò che è sopravvissuto è qualche nastro che conteneva solo due settimane di registrazione dei dati Alsep. Alcuni ricercatori devono averli presi in prestito dall’archivio prima che iniziasse il saccheggio. «Tutti gli altri erano spariti – ha detto Williams – E tutto per colpa dell’olio di balena!».

Attualmente la minaccia più grande per questo servizio dati è determinata dagli aggiornamenti dei software e dai supporti audio/video. Come oggi non è facile leggere un vhs o un floppy disk, tra qualche tempo il foglio Excel potrebbe non esistere più. La sfida è dunque archiviare i dati in modo che possano essere aperti e letti anche tra 100 anni.

 

Immagine di copertina: microfilm della missione Apollo – Crediti: Nasa/Lonnie Shekhtman